Così il Cav. e Tremonti seguono la corsa di Draghi verso la Bce

Dalla Rassegna stampa

Davvero a Mario Draghi servirebbe "un’iniziativa ufficiale" da parte di Silvio Berlusconi per concorrere con qualche chance alla presidenza della Bce? La tesi, sostenuta con veemenza da Repubblica ieri, è apparsa in parte spericolata a più di una fonte governativa. A parte qualche (scontata) ironia sugli endorsement del quotidiano romano, la questione viene infatti presa sul serio e al Cav. le legittime
aspettative di Draghi stanno a cuore. Del resto era stato proprio Berlusconi a proporre a fine dicembre 2005 la nomina di Draghi a governatore di Bankitalia. E sempre sotto il precedente governo di centrodestra, aprile 2006, Draghi è divenuto presidente del Financial stability forum (oggi Financial stability board), la sua carica internazionale di maggior peso, e dunque - si argomenta nell’esecutivo - anche il miglior asset per aspirare alla guida della Bce. Non solo. Nel 2008 la squadra italiana nel Fsb è aumentata di peso, con l’ingresso del dg del Tesoro, Vittorio Grilli (oggi il principale collaboratore di Giulio Tremonti). D’altronde l’editoriale di Repubblica non ha provocato soverchie reazioni e cambi d’umore ai vertici di Bankitalia.
Ciò che viene giudicata controproducente nell’esecutivo, in questo momento, è proprio una richiesta esplicita del governo italiano in senso pro Draghi, magari in un consesso istituzionale; cosa che del resto non è avvenuta neppure da parte di quello tedesco per Axel Weber, numero uno della Bundesbank e principale candidato alla Bce. E se è vero che nei mesi scorsi si era materializzato un asse francotedesco sulle maggiori nomine europee -che tra l’altro ha portato alla conferma del lussemburghese Jean-Claude Juncker alla presidenza dell’Eurogruppo, contro qualche aspirazione di Tremonti - è altrettanto vero, fanno notare fonti ministeriali, che oggi quell’asse si è alquanto indebolito sulla gestione del dossier Grecia, ovvero sul problema più serio mai affrontato dai governi europei. Alla fine per evitare il default di Atene ha prevalso una linea abbastanza tremontiana, e per giunta annunciata proprio da Berlusconi e Nicolas Sarkozy a Parigi, al termine del recente summit italo-francese. La soluzione trovata, che prevede l’emissione di obbligazioni a carico di ogni partner dell’euro secondo la proporzione delle quote della Bce, nonché l’intervento del Fondo monetario internazionale, ha un’architettura simile a quanto proposto dal ministro dell’Economia per gli eurobond destinati a finanziare infrastrutture comuni.
Banchieri centrali e "force de frappe" Ma, aggiungono gli insider governativi, ancora più rilevante è il segnale politico dell’operazione. Che Atene richieda l’aiuto oppure no, è stata comunque accantonata la linea dura di Berlino e della stessa Bundesbank che, appunto, prevedeva niente soccorsi alla Grecia e nessun intervento del Fini. In altri termini, Weber ha visto sconfessare la propria dottrina come banchiere centrale tedesco: che cosa sarebbe accaduto se fosse stato il banchiere centrale europeo? Domande ovviamente prive di risposta, e forse neppure pertinenti, visto che Jean-Claude Trichet, il presidente in uscita della Bce, quando era governatore della Banque de France, aveva fama di colomba in fatto di tassi d’interesse, al contrario di quel che ha dimostrato poi. In realtà, a proposito di endorsement a Draghi, ciò che Berlusconi e Tremonti vogliono evitare - secondo la ricostruzione del Foglio - è di esporre se stessi e il governatore in una battaglia persa, dopo quelle per la nomina di Mario Mauro a presidente del gruppo del Ppe a Strasburgo, e di Massimo D’Alema a ministro degli Esteri dell’Ue. Ma anche la lista snocciolata da Repubblica come "force de frappe di nomine ad altissimo livello" strappate a metà anni Novanta (cioè dall’Ulivo) ha sollevato più di una perplessità a Palazzo Chigi. L’elenco spazia infatti da Mario Monti alla Commissione Ue - dove venne designato dal Cav. - a Tommaso Padoa-Schioppa nel consiglio di Bce, poltrona che all’Italia spetta di diritto e che oggi è occupata da Lorenzo Bini Smaghi. Passando per ammiragli e generali, approda a Romano Prodi, che l’Italia indicò (in maniera bipartisan) alla presidenza della Commissione. Lì il Professore, salutato come "Mr. Clean", non ha ottenuto il secondo mandato; come invece era riuscito a Jacques Delors, e oggi anche a José Manuel Barroso. Sempre colpa del Pdl?

© 2010 Il Foglio. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK