Corani bruciati, 8 morti chiusa l'ambasciata Usa

Non sono bastate le scuse, elaborate e cerimoniose a puntino. Prima del comandante supremo dell'Isaf John Allen, poi del segretario alla Difesa Leon Panetta. Niente da fare. Lo scandalo di Corani bruciati e gettati nella discarica a cielo aperto della base di Bagram, sessanta chilometri a Nord di Kabul, ha avuto il suo strascico di manifestazioni, scontri e morti. Almeno otto.
Ieri le proteste si sono estese con maggiore violenza in tutta la capitale e nelle città di provincia. Sulla strada per Jalababad, i manifestanti hanno incendiato camion cisterna che trasportavano carburante verso le basi. Davanti a Camp Phoenix, la principale base americana a Kabul, migliaia di giovani, moltissimi studenti della vicina università, si sono radunati all'ingresso e cantato in coro «Morte all'America». Sono intervenute le divise verdi della polizia militare afghana, le unità antisommossa con gli idranti. Gli agenti, pressati, hanno sparato in aria. Alla fine si è contato un morto e dieci feriti. L'Ambasciata americana è stata chiusa per precauzione, il personale invitato a non muoversi.
Peggio è andata nella cittadina di Shinwari, provincia di Parwan: sei morti e decine di feriti. Un'altra vittima a Jalalabad. E Vicino alla città di confine con il Paldstan, sempre nella provincia di Nangharar, c'è stato anche un altro incidente che ha acceso ancora di più gli animi. Un raid notturno di elicotteri Nato. Una «sbavatura», come si dice in gergo. E nove ragazzine sono rimaste ferite dalle schegge di un missile che doveva colpire un covo di talebani. La Nato «sta indagando».
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