Il coraggio di Emma, "pacifista" a sorpresa

Dalla Rassegna stampa

Sul piano inclinato che fa scivolare inesorabilmente i paesi della Nato verso l’intervento armato in Siria, colpisce la fermezza "politica" di Emma Bonino. Sostiene, la ministro degli esteri, che «l’Italia non prenderà parte a soluzioni militari al di fuori di un mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu», essendo le Nazioni Unite «l’unico quadro di riferimento giuridico» per un intervento militare contro Damasco. Leggerà la sua posizione quando probabilmente domani, secondo la Nbc) sarà scatenata, dalla sesta flotta, una serie di attacchi mirati contro obiettivi militari siriani? Potrebbe essere l’inizio di un’offensiva multinazionale, con la partecipazione di paesi come Francia, Gran Bretagna e Turchia, ma non autorizzata dalle Nazioni Unite. E l’Italia? Che farà a quel punto? Domani stesso la Farnesina dovrà comunque ribadire la posizione italiana nella riunione della Nato, nella quale la Turchia farà pesare le sue ragioni a favore dell’intervento, forte anche della sua collocazione di paese membro dell’alleanza, confinante con la Siria e dunque minacciato dal conflitto.

Colpisce dunque la fermezza di Emma. Perché esprime il coraggio di chi si ostina a usare la testa e a ragionare con la dovuta freddezza in un clima internazionale reso contagiosamente emotivo dalle ultime immagini terribili della tragedia siriana. E perché smonta un cliché che le era stato appiccicato addosso, a sinistra, della radicale acriticamente filoamericana e interventista a oltranza, che avrebbe dunque guidato la nostra diplomazia con la bussola orientata verso Washington e verso Bruxelles, non la capitale della Ue, ma la sede della Nato. Non che sia diventata "pacifista", Emma. Non è contraria per principio agli interventi armati. Ma non ha mai considerato l’azione militare come la prima e principale opzione. Anche a proposito della Siria, ha detto che «non c’è soluzione militare al conflitto siriano» e che bisogna andare nella direzione di una «soluzione politica». E non c’è bisogno di essere pacifisti e non interventisti per fare un’affermazione del genere. Basta, per questo, anche conoscere un po’ quella regione, avere dimestichezza con la lingua e la cultura araba. E basterebbe anche saper meditare sulla montagna di errori che l’Occidente ha accumulato nell’ultimo ventennio in Medio Oriente. Emma Bollino, infatti, conosce bene il mondo arabo, il mondo islamico, e sicuramente tra i tanti che ne discettano, caso mai senza esserci mai stati, e tra quelli che saranno chiamati a prendere una decisione sulla Siria, è quella che ne parla sapendo per esperienza e per conoscenza di che cosa si parla. E già, questa volta europei e americani farebbero bene ad ascoltare l’Italia e a non liquidare con i soliti stereotipi negativi l’ostinazione italiana a usare in Siria tutti i mezzi e gli strumenti della diplomazia, come suggerisce appunto Emma Bonino. La quale prospetta per Assad - nel percorso di una soluzione politica - la via d’uscita dell’esilio, la stessa che Marco Pannella e i radicali indicarono inutilmente per Saddam Hussein.

Indubbiamente la via diplomatica è un cammino difficile, ma «certo meno disastroso e in fondo più realista di quello di un’internazionalizzazione - con un intervento americano ed europeo - dello scontro militare», ha scritto sulla Stampa l’ex ambasciatore Roberto Toscano. Parole sagge che riecheggiano il pensiero più profondo di Barack Obama, il quale pure nel momento in cui annuncia il possibile ricorso alla forza contro Assad, avverte che bisogna stare molto attenti a non buttarsi a capofitto in situazioni difficili impegnandosi in «interventi costosi» che potrebbero «aggravare nella regione i risentimenti nei nostri confronti». E ammette che «si esagera quando si pensa che gli Stati Uniti possano in qualche modo risolvere all’interno della Siria quello che è un complesso problema settario». Perché allora Obama si orienta verso l’intervento? Perché non è più in grado di reggere la pressione politica domestica? Si può dire altrettanto a proposito di David Cameron? Di François Hollande? Di Recep Tayyip Erdogan? Di Angela Merkel, vicina al voto? Se, oggi, ancor più che nelle precedenti crisi internazionali, dovesse risultare evidente la prevalenza del calcolo politico interno sulla reale efficacia risolutoria dell’intervento armato per la soluzione della crisi, a maggior ragione la posizione italiana andrebbe apprezzata e sostenuta.

 

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