Il convitato un po' scomodo

Dalla Rassegna stampa

La tentazione crescente del Pd sembra quella di mettere fra parentesi il governo di Mario Monti. Non per destabilizzarlo, perché anzi il partito di Pier Luigi Bersani continua a sostenerlo con lealtà e convinzione. Non ne parla troppo per proteggere le dinamiche interne in atto nel centrosinistra; e per esorcizzare la sua permanenza a Palazzo Chigi dopo il voto del prossimo anno. Forse perché esiste una contraddizione vistosa fra le alleanze in via di definizione, e l'appoggio al premier e al governo.

Le stesse primarie promettono di svolgersi come un'esercitazione ad alta quota, sospese in aria. Qualcosa che riguarda il Pd e le sue ambizioni governative; un quasi alleato assai poco europeista e antimontiano come Nichi Vendola; e un quasi ex alleato come Antonio Di Pietro, ormai attestato su un versante anti istituzionale indefinibile. Ma Monti in questo scenario non c'è. Anzi, si ha l'impressione che per il Pd non debba esserci, perché rappresenta una sfida e un ingombro.
Eppure è difficile che possa essere espunto dalla discussione sul futuro della sinistra: non basta che sia «altro» per non farci i conti. Ritenere di essere suoi alleati adesso, e in parallelo prepararsi a coalizioni con partiti agli antipodi rispetto alla politica economica di questi mesi, può rivelarsi un inganno pericoloso: verso se stessi e verso l'elettorato. Al centrosinistra, come al Pdl, non basta dire che dopo questa fase il potere sarà «restituito» alla politica, quasi i partiti avessero solo un diritto e non anche un dovere di governare bene l'Italia. 

Si fatica a ridurre l'agenda Monti a un sacrificio « una tantum », rivendicato e ostentato come una medaglia da togliersi subito dopo le elezioni. Il futuro prossimo non contiene una dose massiccia di imprevedibilità sui problemi da affrontare. E il vincolo europeo promette di essere ancora più stretto, anche per l'Italia. Per quanto sgradita, la presenza di Monti continuerà a proiettarsi sulla politica italiana, Pd e prossime primarie inclusi. Fingere che non esista, nemmeno come convitato di pietra, non è vietato. Ma o si tenta di capire la portata e le conseguenze del suo governo da subito, o si sarà costretti a farlo dopo il voto.

Con una differenza: analizzare il «fattore Monti» e confrontarlo con l'identità del centrosinistra ora, significa comprendere che non è solo una parentesi ma l'indizio della trasformazione del sistema; e arrivare all'appuntamento con programmi e alleanze coerenti. Doversi rendere conto solo dopo che non se ne può prescindere, invece, equivale a perdere i prossimi mesi disegnando scenari a rischio di smentita immediata. Le premesse per un governo politico si radicano non subendo Monti come un'anomalia da smaltire frettolosamente, ma valutandolo soprattutto come opportunità per cambiare. 

Se il Pd non la coglie, si espone ad altre contaminazioni; o, peggio, all'illusione di poter vivere di rendita sulle macerie del berlusconismo. La sua sarebbe una vittoria effimera, foriera di altre anomalie assai meno rassicuranti del governo dei tecnici.

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