Contro l'illegalità il coraggio di cambiare

Dalla Rassegna stampa

Caro Direttore, Paolo Franchi sul Corriere di ieri ha sollecitato i tre candidati a non sfuggire il tema del rapporto tra politica e legalità. Lo fa sulla scorta dell’allarmata intervista che sullo stesso giornale aveva dato il senatore Enrico Morando, commissario del Pd a Napoli, sul caso di Castellammare. Non eludo l’invito di Franchi. È vero: soprattutto al Sud, ma non solo lì, si pone in modo drammatico una evidente questione morale. Non si deve generalizzare, ma i casi emersi sono gravi. Parlo del controllo del voto. Parlo dell’intreccio tra politica e affari. Affari che sempre più spesso avvengono oltre il confine della legalità.

Non credo che la risposta sia in una visione idealizzata del passato e dei partiti della prima Repubblica. Partiti solidamente strutturati, con regole rigide e apparati in grado di esercitare un forte controllo. Eppure non si può far finta di non vedere che proprio quei modelli di partiti sono diventati nel tempo apparati di potere chiusi, dominati da chi riusciva a scalarli attraverso il tesseramento e il controllo del consenso sul territorio.

Il problema dell’infiltrazione mafiosa nella politica è un male antico. Quali sono gli antidoti? Le regole. Certo. Anche rimedi estremi e rigorosi, come quello proposti da Morando. E cioè la consegna degli elenchi degli iscritti alla magistratura. Ma è necessario prevedere norme «strutturali» per garantire la trasparenza della vita interna dei partiti. Credo che non sia più rinviabile metter mano a quella legge sui partiti il cui contenuto corrisponda a quanto dettato dall’articolo 49 della Costituzione. Una legge che dia rilievo penale a tutto ciò che violi il corretto svolgersi della vita associativa. Dal tesseramento al finanziamento.
Ma le regole non sono sufficienti da sole. C’è un problema di cultura politica. Di etica pubblica. Di comportamenti personali. Anch’io ho parlato spesso di Roberto Saviano. Ne ho parlato ai ragazzi del Sud, incontrandoli all’Università di Cosenza, come un modello civile da imitare. Come un esempio del Sud che non ci sta ad essere descritto sempre attraverso gli stessi stereotipi: quelli della rassegnazione, della collusione, dell’omertà. Non credo che sia retorica dire che c’è un altro Sud. Che c’è una società civile che vuole cambiare. È vero: non bisogna mitizzare la società civile. Anche lì c’è il male. Anche lì ci sono i vizi che hanno inquinato la politica, le istituzioni e i partiti. Ma sarebbe un errore altrettanto grave continuare a contrapporre la società civile alla società politica, perché anche dentro i partiti ci sono forze ed energie che lottano per cambiare.

A Castellammare ci sono stato con giovani, dirigenti e amministratori del Pd. In un edificio sequestrato alla camorra ho incontrato esponenti dell’associazionismo che si occupano di integrare gli immigrati, nel luogo dove si gestiva il traffico di cocaina. Ho incontrato i volti di quelli che testimoniano ogni giorno cosa voglia dire solidarietà e legalità. Mi piacerebbe che anche loro potessero essere tra gli iscritti al nostro partito. Ma forse per alcuni di loro, lì e non solo lì, non è ancora possibile. Perché ci sono ancora troppe contraddizioni tra ciò che diciamo di voler essere e ciò che siamo.

Se vogliamo recuperare credibilità alla politica, ai partiti, allora dobbiamo avere il coraggio di cambiare. Dobbiamo aprirci, coinvolgere. Lasciare spazio al merito e alla capacità nella selezione delle nostre classi dirigenti, e non alla fedeltà a un capo. Dobbiamo metterci in testa che non c’è un’altra strada per il consenso che non sia il buon governo. La risposta ai problemi delle persone. Se chi ha governato male o non ha risposto a quei problemi rimane comunque al suo posto, perché è protetto da un sistema di potere, e perché attraverso quel potere controlla la maggioranza di un partito, come pensiamo di interessare l’elettorato? Come pensiamo di essere considerati credibili? Il cambiamento deve essere nei fatti. Deve essere visibile nella coerenza dei nostri comportamenti individuali e collettivi. E non potrà essere indolore.

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