La Consulta: droghe, si torni alle «pene più favorevoli»

Dalla Rassegna stampa

Pubblicate ieri le motivazioni della sentenza con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Si torna alle precedenti norme emendate dal referendum Radicale del ‘93. Spetterà ora ai giudici ordinari iscrivere le condanne «seguendo il principio del favor rei». «Evidente estraneità» delle «disposizioni aggiunte in sede di conversione» e mancanza di nesso funzionale tra i contenuti e le finalità del decreto-legge originario (n. 272 del 30 dicembre 2005) e la legge 49 del 21 febbraio 2006. In estrema sintesi, sono queste le motivazioni per le quali la Corte Costituzionale, con la sentenza emessa il 12 febbraio scorso, ha dichiarato illegittima la legge Fini-Giovanardi sulle droghe partorita con un colpo di mano del governo Berlusconi che, a poche settimane dallo scioglimento delle camere, ridisegnò completamente il testo unico sulle droghe con un maxi-emendamento introdotto in sede di conversione al decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino e sul quale pose la fiducia, bypassando così il doveroso dibattito parlamentare.

Un dispositivo, quello pubblicato ieri sul sito della Consulta, atteso particolarmente per capire gli effetti immediati della sentenza soprattutto da parte di chi è incappato in questi lunghi otto anni nelle maglie di quella che è considerata una delle leggi più repressive d’Europa. La risposta ora c’è: «Deve, dunque, ritenersi - si legge nelle motivazioni redatte dalla giudice Marta Cartabia - che la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel Dpr 309 del 1990, nella versione precedente alla novella del 2006, torni ad applicarsi, non essendosi validamente verificato l’effetto abrogativo». I giudici costituzionalisti, cancellando gli articoli 4-bis e 4- vicies ter della legge di conversione che modificavano gli articoli 73, 13 e 14 del testo unico sulle droghe - unificazione delle condotte e delle tabelle che identificano le sostanze, aumento delle pene per i consumatori e per i reati connessi alla cannabis e ai suoi derivati - hanno così accolto completamente le questioni di legittimità sollevate dalla III Sezione penale della Cassazione nel giugno 2013, ma hanno anche recepito appieno le argomentazioni esposte durante l’udienza pubblica dall’avvocato Giovanni Maria Flick, ex presidente della Consulta: «Le impugnate disposizioni introdotte dalla legge di conversione - si legge infatti nelle motivazioni - riguardano gli stupefacenti e non la persona del tossicodipendente (di cui trattava invece il decreto legge, ndr). Inoltre, esse sono norme a connotazione sostanziale, e non processuale, perché dettano la disciplina dei reati in materia di stupefacenti». Senza contare che è «di assoluta evidenza» la «disomogeneità delle disposizioni impugnate rispetto al decreto legge». Dunque, «una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare». Infatti, «la legge di conversione non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, come del resto prescrivono anche i regolamenti parlamentari»; «diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare». Da ieri si torna dunque alla preesistente legge lervolino-Vassalli emendata dal referendum dei Radicali del 1993 che eliminò la punibilità del consumatore.

Ma cosa succede a coloro che stanno già scontando una condanna inflitta sulla base della legge incostituzionale? «È compito del giudice comune, quale interprete delle leggi - spiega la Consulta - impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada a detrimento della loro posizione giuridica, tenendo conto dei principi in materia di successione di leggi penali nel tempo ex art. 2 cod. pen., che implica l’applicazione della norma penale più favorevole al reo». In sostanza, spiega l’avvocato Flick al manifesto, la Consulta rimanda al giudice ordinario ogni decisione, citando però l’articolo 2 secondo il quale la nuova norma (in questo caso la legge preesistente) va applicata retroattivamente seguendo il principio del «favor rei», il giudizio più favorevole all’imputato, a meno che la condanna non sia già definitiva. C’è però, spiega ancora Flick, un orientamento minoritario giurisprudenziale che chiama in ballo anche l’articolo 30 della legge 87/1953 sul funzionamento della Consulta secondo il quale, a prevalenza sull’articolo 2 del codice penale, cessano gli effetti della legge giudicata incostituzionale e dunque anche le sentenze passate in giudicato devono essere disattivate. Ma il dibattito è appena cominciato, perché con le motivazioni di ieri si apre una nuova "era" in materia di stupefacenti, nel nostro Paese. A 14 anni dalla Conferenza nazionale sulle droghe di Genova, se ne continuerà a discutere venerdì e sabato prossimi durante la due giorni di convegno promossa dalla Comunità di San Benedetto al Porto a Palazzo Ducale. Decine di ospiti e laboratori per muoversi «Sulle orme di Don Gallo», «per una nuova politica sulle droghe».

 

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