Confusione europea

Un ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, molto irritato con Bettino Craxi per qualche ragione che non fu mai dato sapere sibilò un giorno davanti a un microfono rimasto inopinatamente acceso, nel corso di un vertice, nel 1986: «Abbiamo un capo del governo che confonde il Consiglio d’Europa con il Consiglio Europeo». Poi i due fecero pace. Ma per un vecchio navigatore delle istituzioni internazionali come il leader dc quella «confusione» era un affronto e quell’osservazione lasciata cadere con un vago sorriso aveva quasi il sapore di una sfida.
Erano altri tempi. Oggi, invece, passa inosservato che mezza Italia si scagli contro l’Unione Europea, che non c’entra, per condannare giustamente una sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, questo discutibile «tribunale dei cittadini» che opera nell’ambito del Consiglio d’Europa, l’ormai un po’ decotta organizzazione nata nel maggio del ’ 49 con il Trattato di Londra, che conta tra i suoi 47 membri anche l’Azerbaijan e la Moldavia. L’Unione Europea è un’altra cosa, in comune c’è solo Strasburgo, la città dove vanno avanti e indietro da Bruxelles le scartoffie del Parlamento Europeo. Fu proprio alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo che si rivolse nel 1988 la professoressa Hayrunnisa Gul, moglie del futuro ministro degli Esteri e presidente turco, per chiedere che le venisse riconosciuto il diritto di portare il velo all’università.
La sentenza sui crocifissi, che, come ha scritto Alberto Melloni sul Corriere di mercoledì, va respinta come «un atto odioso» contro la convivenza, appare il prodotto di una concezione estrema del rapporto tra i diritti dei pochi e le sensibilità dei molti: i 47 giudici avrebbero dovuto riflettere di più prima di emetterla. Proprio per questo, però, bisogna capire, distinguere, evitare condanne dirette o bersagli sbagliati. Il Consiglio d’Europa non è l’Unione Europea. Fortunatamente, almeno L’Osservatore Romano ha registrato ieri la «presa di distanza» giunta dal portavoce del Commissario Ue alla Giustizia, il francese Jacques Barrot.
Il governo italiano fa bene a fare ricorso contro una sentenza che offende la nostra identità cristiana. Ma non bisogna fallire l'obiettivo, lanciando una battaglia antieuropea che sarebbe errata soprattutto in questo momento. L’Unione sta tentando di uscire da una crisi profonda e l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona può aprire una nuova fase: di minori ambizioni e maggiore concretezza. A Bruxelles è forte la convinzione della necessità di invertire la rotta, di riavvicinare la comunità ai cittadini tagliando sprechi e evitando frizioni con le opinioni pubbliche. E la stessa creazione di due figure nuove, come quella di un Presidente e di un ministro degli Esteri vicepresidente della Commissione può dare due volti a un progetto da salvaguardare, può essere anche un’utile svolta d’immagine. L’Europa è ormai l’aria che respiriamo. Ne sentiremmo la mancanza se non ci fosse.
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