Il conflitto di interessi che devasta la sanità

Nel disegno di legge sulla «governance» sanitaria la maggioranza propone la piena libertà dei medici di lavorare, ad un tempo, per il pubblico e per il privato. Andrebbe bene per i professionisti più intraprendenti, ma malissimo per il Servizio sanitario nazionale e per i cittadini, dai più poveri ai mediamente benestanti che usufruiscono anch´essi di un Ssn, qualificato come il secondo al mondo ma anche penalizzato da molti difetti e sprechi. Tra questi il famigerato «intra moenia», (entro le mura) che dovrebbe consentire ai medici del Ssn di svolgere, in spazi ricavati all´interno delle strutture pubbliche, una residua attività privata. Ma in quasi nessun ospedale questi spazi vi sono. Cosa accade allora?
In linea di principio lo Stato paga le prestazioni di tutte le strutture pubbliche e di quelle private ma accreditate attraverso una convenzione col Ssn. La differenza è che gli ospedali pubblici sono di sua proprietà mentre le strutture accreditate sono di proprietà privata. Il cittadino sceglie la struttura che preferisce e lo Stato rimborserà l´una o l´altra. In base a questo schema i medici dell´ospedale pubblico sono pagati dallo Stato e sono suoi dipendenti. I medici della struttura privata accreditata sono pagati dal proprietario della clinica. Elementare buon senso vorrebbe che i medici dell´ospedale pubblico possano lavorare solo nell´ospedale pubblico e i medici della clinica privata solo nella struttura privata. Fin qui sembra tutto semplice. Invece, poiché lo Stato non è in grado di garantire spazi e servizi idonei per svolgere una attività «privata» intra moenia, le varie Asl hanno identificato spazi (cliniche, studi, ecc.) completamente privati (quindi non accreditati) dove i medici pubblici possono svolgere attività para-privata (intra moenia allargata). Il sistema ha avuto tre effetti: I) ha salvato molte cliniche private dal fallimento (infatti il decreto che lo istituì è stato chiamato il «decreto salva cliniche»); II) ha permesso ad Asl e Regioni di percepire una tangente sull´attività para-privata dei medici pubblici (attualmente di circa il 20%), con conseguente perdita di interesse ad adeguare le proprie strutture; III) i medici pubblici che operano in intra moenia allargata perdono ogni incentivo a far funzionare le strutture pubbliche a fronte di una attività privata più fiorente.
Se le forze politiche nazionali e regionali avessero a cuore la sanità dovrebbero proporre una svolta radicale. Basterebbe copiare il modello francese. I medici pubblici dovrebbero lavorare solo negli ospedali dello Stato senza alcuna possibilità di esercitare fuori dalla struttura ospedaliera. Potrebbero scomparire subito anche le liste di attesa. Ovviamente per far questo bisogna rivedere alcuni punti fondamentali. È ovvio che se gli stipendi dei medici pubblici rimangono quelli di adesso (un dirigente medico specialista di I livello con 5 anni di anzianità percepisce 2200 euro mensili) non si va da nessuna parte. Bisogna equiparare gli stipendi italiani a quelli dei medici pubblici francesi, tedeschi e inglesi (circa da 2 a 4 volte quelli italiani). Secondo, bisogna creare incentivi di produttività oggettiva (numero di prestazioni, giornate di ricovero, indici di performance, etc). Terzo, è necessario rendere lo stipendio flessibile anche in base alle capacità del singolo professionista e non pagare tutti allo stesso modo, dal grande chirurgo che ogni ospedale vorrebbe avere, al sanitario di un piccolo nosocomio di provincia con scarsa esperienza. Il nostro contratto nazionale con gli stipendi uguali in tutta Italia è quanto di meno meritocratico possa esserci.
In sintesi, la possibilità di migliorare il Ssn c´è se si ha il coraggio di affrontare il nodo degli interessi corporativi. Solo in questo modo si può creare una vera competizione tra pubblico e privato-accreditato mettendo fine a un conflitto di interesse a paragone del quale persino quello di Berlusconi impallidisce.
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