Confindustria Potemkin

Dalla Rassegna stampa

La riforma del lavoro è una boiata, ha dichiarato il nuovo presidente di Confindustria, premurandosi di precisare che in questo periodo sta cercando di moderare i toni. Gliene siamo grati. In effetti Squinzi non ha prodotto rumori con la bocca né mostrato il dito medio alla platea. Si è limitato all’analisi cruda, essenziale: una boiata. Può darsi abbia ragione, intendiamoci. Molti la pensano come lui. Però, specie se occupano ruoli di responsabilità e non stanno bevendo l’aperitivo al bar, si sforzano di articolare il dissenso in forme più complesse. Che sciocchini. Boiata ha tanti pregi: è una parola sciatta, quindi spacciabile per popolare, ed essendo composta da sole sei lettere entra a meraviglia nei titoli dei giornali.

La sua storia è un po’ la storia delle nostre classi dirigenti. In Italia non è mai esistito un linguaggio medio: l’alternativa al lessico incomprensibile dei cortigiani era il dialetto ruspante della plebe, poi scomparso a favore di un «banalese» televisivo smunto nei vocaboli e trucido nei contenuti. Quando negli anni Settanta quel genio di Paolo Villaggio ruppe il conformismo culturale facendo dire al suo Fantozzi «la Corazzata Potemkin è una boiata pazzesca» (al cinema diventò «cagata»: probabilmente «boiata» fu considerato un termine letterario), un urlo di liberazione si levò dalla Penisola. I potenti non si vergognarono più di assumere il linguaggio delle loro vittime e con una parolaccia e una barzelletta ne conquistarono il voto. Da allora fra potenti e sudditi non c’è più alcuna differenza di stile, di cultura, di sogni. Soltanto di soldi.

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