La confessione di Bossi "Sono stanco"

Il Capo è stanco e non lo nasconde: «Il tempo passa, l'altro giorno in montagna avevo il fiatone», dice Bossi quando sta per concludere. Non che abbia intenzione di mollare: «Abbiamo ancora tante battaglie davanti». Ma la sua voce è debole, sulla Riva degli Schiavoni le parole giungono confuse alla folla che lo ascolta, lo applaude, lo adora. Domenica prossima gli anni saranno 69: e la malattia ha lasciato segni che non si cancellano. Guai a parlarne, nella Lega. La parola d'ordine è che c'è solo un capo e la sua guida è sicura come non mai. Il che è vero, intendiamoci: solo Bossi detta veramente la linea. Magari si contraddice nel giro di pochi giorni passando da un «voteremo la sfiducia per andare alle elezioni» a un «restiamo fedeli a Berlusconi, niente sfiducia, noi non siamo traditori».
Giravolte improvvise che forse in un altro Paese farebbero pensare a un momento di confusione, ma che in Italia vengono interpretate come colpi di genio: Bossi alla fine è quello che, quanto a tattica politica, mette sotto tutti. Tuttavia tanto zelo nel sottolineare l'assoluta unità nel partito mostra un nervo scoperto. Ne è una spia la sfuriata che a un certo punto, a freddo, ha fatto Rosy Mauro ieri dal palco. Ha gridato: «Siamo uniti, è questo che fa rabbia a chi scrive certe cagate sui giornali!». Al popolo leghista questa frase è probabilmente sfuggita. Non aveva senso logico, in quel momento: tutto sta andando bene nella Lega, Venezia era invasa dai militanti (trentamila, secondo i carabinieri), il clima era di festa. Ma c'è un retroscena sconosciuto al popolo leghista che stava ascoltando. Rosy Mauro si riferisce a indiscrezioni uscite qua e là, a spizzichi e bocconi, nelle ultime settimane.
Dunque. Hanno scritto che ormai da tempo Umberto Bossi vive in una sorta di libertà vigilata, «marcato» stretto da un gruppetto di quattro persone che lo blinda, che gli impedisce fisicamente di parlare con i giornalisti, che gli detta tempi e movimenti. Queste quattro persone sarebbero la stessa Rosy Mauro, sindacalista leghista antemarcia; la moglie Manuela Marrone, il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni e il capogruppo al Senato Federico Bricolo. Anzi adesso i quattro sarebbero diventati cinque, perché si sarebbe aggiunto il giovane Francesco Belsito, un ligure. Tutto sarebbe cominciato dopo la malattia di Bossi.
È in i quei giorni che si sarebbe deciso di istituire una sorta di guardia di sicurezza per evitare al capo una vita troppo stressante. Via, quindi, i compagni di serate troppo lunghe e troppo faticose. Ma questa specie di «tutela» aveva anche un altro scopo: dare un segnale a chiunque si fosse mai messo in testa, dopo la malattia del fondatore, di candidarsi alla successione. Quando Bossi ricomparve per la prima volta convalescente, a Lugano, accanto a lui c'era il figlio Renzo, allora praticamente sconosciuto. Secondo alcuni si trattò di un messaggio: dopo Bossi c'è ancora Bossi.
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