Con questi giornali la sinistra non vincerà mai

Dalla Rassegna stampa

Ezio Mauro ha scritto ieri che «forse, anche a sinistra è arrivata l’ora di un Papa straniero». Il Fatto ha parlato di una nuova Caporetto e sopra le foto di Bersani e Letta ha titolato «Con questi qui non vinceremo mai». I due giornali che influenzano largamente la sinistra hanno ripreso subito dopo
il voto a dare consigli non richiesti, se non ordini.
Leggendoli ci siamo fatti una convinzione: con questi giornali non vinceremo mai. La sconfitta questa volta non ha solo responsabili politici, ma va addebitata a quegli stati maggiori di carta che hanno giocato con la sinistra spingendola in un vicolo cieco. Una campagna elettorale è fatta di tante cose. E fatta di candidati, di liste, di discorsi, di capacità di comunicare. Nella stagione dell’irruzione dei media nel processo di formazione dell’opinione pubblica solo una parte di queste risorse è nelle mani di un partito.
Al Pd è capitata la sfortuna di essere affiancato da un giornale come la Repubblica che riesce a trasformare in piombo tutto l’oro che tocca e da un giornale antipatizzante, come Il Fatto, che tifa per il «fuoco amico». Stiamo assistendo a un processo di partitizzazione di una parte della stampa quotidiana. Se a destra Feltri costruisce un giornale bandiera per il popolo berlusconiano e leghista, a sinistra siamo di fronte al tentativo giornaliero di lanciare un’Opa sul principale partito dell’opposizione.
La linea del Fatto è più esplicita. Il quotidiano di Padellaro e di Travaglio ha scelto la militanza nell’area giustizialista. Se volete sapere tutto sulle inchieste di Berlusconi non potete fare a meno di leggerlo. Il rapporto privilegiato con le procure regala primizie giornalistiche e Marco Travaglio ha l’incarico di menare fendenti su tutti quelli che non amano le manette ma soprattutto sugli opinionisti cosiddetti terzisti. E’ il giornale di Di Pietro e Beppe Grillo capace anche di sfidare Santoro quando il conduttore tv, un altro protagonista dell’Opa sul Pd, in nome del pluralismo invita e fa parlare giornalisti di destra. La vicenda politica italiana raccontata dal Fatto è una successione impressionante di episodi criminali che si concludono con il costante invito alla ribellione morale e con la condanna di chi propone alla sinistra un’altra linea. In pochi mesi di vita il Fatto è diventato un successo editoriale ma ha contribuito come pochi a disarmare e azzoppare la sinistra.
La storia di Repubblica è diversa. Nella sua lunga vita il quotidiano di Scalfari e di Mauro è riuscito a entrare nelle abitudini quotidiane di gran parte del pubblico di sinistra. Ne ha raccontato le vicende, i drammi, le aspirazioni. Spesso ha dimostrato anche una capacità analitica sull’avversario non solo scrutando le forze politiche contrarie ma anche guardando dentro al popolo di destra. Da alcuni anni siamo di fronte a un radicale cambiamento di linea. Il giornale che tentava di influenzare, e spesso riusciva a farlo, la linea dei partiti di centro-sinistra, che dettava l’agenda politica, che costruiva eventi culturali è diventato un vero partito di carta. Lancia appelli, convoca manifestazioni, fa e disfa carriere
politiche. Sia su Repubblica sia su Il Giornale, non c’è l’Italia. C’è la narrazione di una eterna guerra civile da parte di stati maggiori protetti da redazioni battagliere che sperano solo nel cedimento strutturale dell’esercito avversario. Il partito politico, persino nel caso del quotidiano di Feltri, è un oggetto da mobilitare, strattonare, incitare, sorvegliare, rimproverare a seconda della sua fedeltà alla coerenza della battaglia. La caccia al traditore, a quello che ha dubbi diventa un esercizio quotidiano di cecchinaggio. La Repubblica è il giornale più letto dalla stato maggiore della sinistra, i suoi editoriali sono compulsati, le prese di posizione diventano ordini, le campagne giornalistiche si trasformano in campagne politiche che il partito subisce senza batter ciglio. Con Veltroni ma soprattutto con Franceschini l’affiancamento era diventato imbarazzante, ma anche Bersani non ha saputo resistere agli appelli e alle richieste di proteste di piazza fino al limite dello scontro con il Quirinale. Anche questa campagna elettorale conclusa con un risultato infelice porta la fina di Ezio Mauro e dei suoi commentatori. Se ha perso Bersani hanno perso anche loro come con Franceschini e Veltroni. Oggi chiedono il papa straniero e immagino il fuggi-fuggi dei probabili candidati.
Sono anni che ci fanno perdere perché sono anni che viene proposta una linea di condotta di fronte al berlusconismo che è fatta solo di barricate. Una campagna elettorale che avrebbe potuto essere dedicata a raccontare il fallimento del governo nella gestione della crisi ha finito per diventare l’ennesima prova di forza sul teina della libertà e del regime. Quanto hanno pagato le battaglie contro la protezione civile e sulle intercettazioni di Trani? Per trenta giorni non si è parlato di altro. L’ho già scritto. Nessuno è sceso in piazza per gli operai di Termini Imerese o per i 1600 dipendenti di Villa Pini a Chieti che non prendono lo stipendio da un anno, ma tutti hanno sentito il bisogno di manifestare contro il regime persino con una manifestazione sulla storia delle liste elettorali escluse e su quell’inutile decreto legge che ne è seguito.
Chiuse le urne, registrato il cattivo risultato, Repubblica e il Fatto continuano a dare le carte con consigli e ordini. Invece di radunare le idee, di chiedersi cos’è mai questo paese in cui malgrado tante campagne giornalistiche la maggioranza del popolo italiano vota a destra e persino più a destra, i due giornali continuano imperterriti a bombardare il partito della sinistra in cui troveranno sicuramente orecchie attente e dirigenti pronti a far propri questi suggerimenti suicidi. Non ci sarà un editorialista che si interrogherà sul berlusconismo, che cercherà di tentare una spiegazione sul fenomeno politico-culturale della nuova destra italiana, che analizzerà le ragioni della sfiducia dell’elettorato di sinistra. E’ partita la nuova Opa con lastessa strategia: un nuovo leader e una nuova battaglia frontale. Come quegli ufficiali felloni della prima guerra mondiale che mandavano in battaglia i propri soldati senza una strategia intelligente e senza scarpe, malgrado i morti e le sconfitte. C’è a piazza del Nazareno un generale che smetterà di ascoltarli e si assumerà la responsabilità del comando unico senza farsi dirigere da costoro?

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