Con la libertà

Tutto l'Occidente si interroga sull'esito della rivoluzione che scuote la Libia, con gli insorti che guardano a Tripoli dalle città liberate, il regime che spara sulla folla e promette ora le riforme che non ha voluto concedere per 42 anni.
In Europa, l'Italia è con Malta il Paese più esposto davanti all'esplosione libica. Proprio per questo, se si comprendono le preoccupazioni del governo è giusto anche pretendere chiarezza nei comportamenti, e prima ancora nei giudizi politici.
L'Italia, con il suo Presidente del Consiglio e il suo ministro degli Esteri, è arrivata per ultima a condannare le violenze, e non ha ancora chiamato per nome il regime dittatoriale contro cui il popolo è sceso nelle piazze, sfidando le armi e i mercenari del Colonnello.
Da questa incapacità di giudicare (che nasce dall'imbarazzo per i ripetuti baciamano a Gheddafi di Berlusconi) discende una posizione a-occidentale: perché riduce la questione libica ad un'emergenza domestica per l'ondata immigratoria, mentre è invece una grande questione di libertà che investe l'Occidente.
Incredibilmente, il nostro governo continua a pensare che Gheddafi possa ancora negoziare un piano di riforme con il suo popolo, come se ne avesse la credibilità e la legittimità. Altrettanto incredibilmente, si pensa che il dittatore possa essere protagonista di un piano di riconciliazione nazionale,dopo che Obama ha parlato di una violenza di regime "che viola la dignità umana".
È umiliante che con le navi da guerra nel Mediterraneo il premier tenga governo e Parlamento in scacco per studiare cinque misure di salvacondotto dai suoi processi: prescrizione breve, conflitto di attribuzione, improcedibilità, processo breve, più riforma della Consulta. Qualcuno gli spieghi che quando i popoli possono riconquistare la loro libertà, l'Occidente ha un dovere preciso che viene prima di tutto: stare dalla loro parte. Questa e solo questa è la risposta alla minaccia di una deriva nell'integralismo islamico. Non la mediazione con i dittatori.
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