Con la legalità si cresce di più

Dalla Rassegna stampa

Sul disegno di legge anticorruzione, quel che era un timore sta pericolosamente diventando realtà: c’è il rischio concreto che le nuove norme per contrastare il malaffare economico (spesso legato alla politica) non vedano mai la luce. O che si arrivi a un compromesso talmente annacquato e/o pasticciato da favorire più danni che soluzioni. Un iter parlamentare irto di difficoltà era prevedibile. Lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino - artefice del maxi-emendamento che doveva conciliare le diverse istanze in una via d’uscita accettabile da tutti - lo aveva messo nel conto. Adesso però la guerra di posizione e i continui rinvii hanno lasciato il passo a comportamenti concreti che fanno immaginare l’esito peggiore. Ieri alla commissione Giustizia della Camera è andato in scena l’ostruzionismo del Pdl, giustificato dal pretesto che «il partito dei neo-giustizialisti ha mostrato il suo vero, disarmante e spaventoso volto», come ha tentato di spiegare un deputato del fronte berlusconiano. Ce l’aveva con l’aumento della pena minima per il reato di peculato. E la presidente della commissione Giulia Bongiorno, esponente di Fli, ha espresso la realistica preoccupazione di non arrivare in tempo all’appuntamento con l’aula di Montecitorio. Se i contrasti tra le due fazioni della «strana» maggioranza che sostiene il governo Monti dovessero finire per paralizzare i lavori parlamentari e il disegno di legge, sarebbe un’altra sconfitta dell’esecutivo. Non solo, però. Sarebbe anche una sconfitta e una pessima figura per l’Italia e la sua intera rappresentanza politica. Di fronte ai cittadini che sentono snocciolare di continuo le cifre scandalose sul dilagare del fenomeno, senza che i partiti riescano neppure ad accennare la volontà di un contrasto più serio; e di fronte all’Europa, che ci ha ripetutamente chiesto una prova di maturità riparando le lacune più volte segnalate. Il problema non riguarda solo la perenne diatriba sulla giustizia. La lotta alla corruzione è uno degli ingredienti necessari per la tanto invocata crescita economica, come hanno sostenuto anche autorevoli esponenti del centrodestra. L’Italia è attesa ad importanti appuntamenti internazionali, ricordati di recente dal ministro Severino: presentarsi con un nulla di fatto su questo argomento farebbe scendere di molto l’immagine del Paese e le sue quotazioni, oltre che la possibilità di cominciare ad attrarre investimenti esteri. Come se non bastasse, al poco edificante spettacolo in commissione Giustizia s’è aggiunto il guazzabuglio sul falso in bilancio, con un emendamento del Pdl approvato anche da Fli e Udc al disegno di legge targato Idv, che di fatto ha ripristinato la norma chiamata ad personam che si voleva modificare. Il tutto con il parere favorevole del governo, dato dal sottosegretario Mazzamuto (che aveva sostituito il dimissionario Zoppini, indagato per frode fiscale), il quale però è stato subito dopo corretto dal ministro: non erano quelle le indicazioni impartite. Un incidente al quale ora si cercherà di porre rimedio, ma che ribadisce il quadro desolante di una situazione politica paralizzata da ciò che l’ha caratterizzata negli ultimi vent’anni: il conflitto permanente e apparentemente irrisolvibile in materia di giustizia.] Sul disegno di legge anticorruzione, quel che era un timore sta pericolosamente diventando realtà: c'è il rischio concreto che le nuove norme per contrastare il malaffare economico (spesso legato alla politica) non vedano mai la luce. O che si arrivi a un compromesso talmente annacquato e/o pasticciato da favorire più danni che soluzioni.

Un iter parlamentare irto di difficoltà era prevedibile. Lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino - artefice del maxi-emendamento che doveva conciliare le diverse istanze in una via d'uscita accettabile da tutti - lo aveva messo nel conto. Adesso però la guerra di posizione e i continui rinvii hanno lasciato il passo a comportamenti concreti che fanno immaginare l'esito peggiore.

Ieri alla commissione Giustizia della Camera è andato in scena l'ostruzionismo del Pdl, giustificato dal pretesto che «il partito dei neo-giustizialisti ha mostrato il suo vero, disarmante e spaventoso volto», come ha tentato di spiegare un deputato del fronte berlusconiano. Ce l'aveva con l'aumento della pena minima per il reato di peculato. E la presidente della commissione Giulia Bongiorno, esponente di Fli, ha espresso la realistica preoccupazione di non arrivare in tempo all'appuntamento con l'aula di Montecitorio.

Se i contrasti tra le due fazioni della «strana» maggioranza che sostiene il governo Monti dovessero finire per paralizzare i lavori parlamentari e il disegno di legge, sarebbe un'altra sconfitta dell'esecutivo. Non solo, però. Sarebbe anche una sconfitta e una pessima figura per l'Italia e la sua intera rappresentanza politica. Di fronte ai cittadini che sentono snocciolare di continuo le cifre scandalose sul dilagare del fenomeno, senza che i partiti riescano neppure ad accennare la volontà di un contrasto più serio; e di fronte all'Europa, che ci ha ripetutamente chiesto una prova di maturità riparando le lacune più volte segnalate.

Il problema non riguarda solo la perenne diatriba sulla giustizia. La lotta alla corruzione è uno degli ingredienti necessari per la tanto invocata crescita economica, come hanno sostenuto anche autorevoli esponenti del centrodestra. L'Italia è attesa ad importanti appuntamenti internazionali, ricordati di recente dal ministro Severino: presentarsi con un nulla di fatto su questo argomento farebbe scendere di molto l'immagine del Paese e le sue quotazioni, oltre che la possibilità di cominciare ad attrarre investimenti esteri.

Come se non bastasse, al poco edificante spettacolo in commissione Giustizia s'è aggiunto il guazzabuglio sul falso in bilancio, con un emendamento del Pdl approvato anche da Fli e Udc al disegno di legge targato Idv, che di fatto ha ripristinato la norma chiamata ad personam che si voleva modificare. Il tutto con il parere favorevole del governo, dato dal sottosegretario Mazzamuto (che aveva sostituito il dimissionario Zoppini, indagato per frode fiscale), il quale però è stato subito dopo corretto dal ministro: non erano quelle le indicazioni impartite. Un incidente al quale ora si cercherà di porre rimedio, ma che ribadisce il quadro desolante di una situazione politica paralizzata da ciò che l'ha caratterizzata negli ultimi vent'anni: il conflitto permanente e apparentemente irrisolvibile in materia di giustizia.

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