Con Bossi i delusi di An

Sulla scrivania dell’onorevole Enzo Raisi c’è una lettera che comincia così: «Siamo un gruppo di ex militanti di An, passati alla Lega…».
Seguono spiegazioni e considerazioni non sempre pacate. Anche Raisi viene da An. E’ rimasto fedele a Fini e nel partito è uno importante: parlamentare, coordinatore del Pdl per tutto il Bolognese, presidente del gruppo consiliare in Provincia, amministratore del Secolo d’Italia. Minimizza: «Un travaso da An alla Lega c’è. Ma quanti saranno? Quando si cambia è normale che ci sia un po’ di disorientamento, ma abbiamo visto anche a Fiuggi che i nostalgici sembrano sempre tanti ma alla fine si rivelano poca cosa».
E però quella lettera non è un caso. E’ strano, ma proprio qui in Emilia – una Regione che sembrava impenetrabile per la Lega – sta emergendo un dato sorprendente. Chi è deluso da Fini non passa a Berlusconi, ma a Bossi. Fino a qualche anno fa la distanza tra An e padani sembrava siderale: in mezzo c’era un’idea non proprio identica di unità nazionale. Ora chi si sente tradito da Fini riconosce ai leghisti di difendere un valore immortale della destra: l’identità. Le uscite del presidente della Camera sui minareti in Svizzera sono solo l’ultima delusione per tanti suoi ex elettori. E la Lega, che ora chiama «imam» Fini (su La Padania di ieri) raccoglie.
Certi dati sono evidenti. Quest’anno a Reggio Emilia la Lega è passata dal 3,5 al 18,5; a Bologna dal due virgola qualcosa all’8,5. «Molti voti li abbiamo portati via alla sinistra – dice l’onorevole Angelo Alessandri, segretario regionale leghista dell’Emilia – ma moltissimi, sicuramente, sono voti di ex elettori di An, delusi da Fini». Il quale è venuto qui di recente, tra gli ex camerati di un tempo, e ha trovato pane per i suoi denti. La base è disorientata, e se gli elettori saltano la barricata nell’urna, ci sono amministratori che cambiano addirittura casacca, dal tricolore al verde padano. Ad esempio a Bondeno, comune di 16.000 abitanti in provincia di Ferrara, prima c’era un sindaco di An, Davide Verri, adesso uno della Lega, Alan Fabbri. Ma non è tutto: Verri ha lasciato oltre alla poltrona di primo cittadino anche il Pdl e ha fatto una lista civica che si è presentata alle provinciali con la Lega, con tanto di Alberto da Giussano nello stemma. Anche Mauro Manfredini, capogruppo leghista in Regione e al consiglio comunale di Modena, conferma: «La mia non è una sensazione ma una certezza: molti ex di An votano per noi. A Modena siamo passati dal 3 all’11,4 per cento. E nelle nostre sedi arrivano gruppi interi di persone che non ne possono più di Fini. Solo io ne ho tesserati una sessantina».
Enzo Raisi resta tranquillo: «Il disorientamento c’è anche perché i giornali di destra fanno di tutto per screditare Fini. Ho conservato un numero del Giornale che credo abbia battuto ogni record: nove-pagine-nove contro Fini, compresa una nello sport, intitolata “I finiani contro Lippi”. Da una parte rido, dall’altra mi dispiaccio perché purtroppo molti nostri elettori leggono quei giornali lì. Ma chi ragiona sa bene che An, e anche il vecchio Msi, non è mai stata xenofoba. E’ la Lega che incarna l’anima becera della destra». Dunque Fini non sbaglia? «Io condivido in pieno il suo discorso. Guarda avanti e fa bene. Credo però che ci sia un limite nella comunicazione: in tempi di crisi economica, bisogna stare attenti a insistere sui diritti agli immigrati, perché si rischia di alimentare la paura delle nostre classi più deboli».
Ancor più netto è il senatore Filippo Berselli, parlamentare dal 1983, prima per il Msi, poi per An e ora per il Pdl: «Fini sbaglia certamente nella comunicazione. E la comunicazione in politica è tutto». Berselli dice di non essere «né un ultrà finiano, né uno dei suoi denigratori», e non si scandalizza per certe svolte: «Solo i paracarri non si muovono. Anch’io trent’anni fa andavo a picconare i cartelli stradali intitolati a Lenin o Togliatti e oggi non lo faccio più. Le posizioni di Fini sono condivisibili, ma quando si ripetono concetti non ortodossi con la tradizione della destra italiana, bisogna spiegarsi bene. Ed è difficile spiegarsi con un popolo che si ferma ai titoli dei tg. La base è disorientata, non c’è dubbio».
E uno che sente il polso della base è Mino Ruocco, 52 anni. A metà degli Anni Novanta esordì in consiglio comunale, nel gruppo di An, dando una testata a un consigliere del Pds e mandandolo al pronto soccorso. Ancora oggi, come da vent’anni a questa parte, conduce ogni giorno dalle 12,30 alle 13,30 a Punto Radio la trasmissione «Ruocco duro», l’unica «di destra» in una città in cui essere di destra è sempre stato difficile. «Ogni giorno ricevo telefonate e messaggi contro Fini, tanti sono così volgari e offensivi che non li passo. La cosa che più dà fastidio è l’irriconoscenza nei confronti di Berlusconi. Che significa dargli dell’ameba? Non è da Fini, non è nel Dna della destra italiana essere irriconoscenti. E poi tutti abbiamo l’impressione che le svolte di Fini siano dettate da interessi personali. Non sta cambiando idea, insomma: sta cambiando strategia. Noi percepiamo una non sincerità». Ruocco è uscito da tempo da An. Anni fa ha fondato la lista «Destra italiana» che alle comunali prese ottomila voti contribuendo alla vittoria di Guazzaloca. E adesso? «Adesso Lega. Io e il mio gruppo abbiamo votato Lega, come molti ex fondatori di circoli di An».
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