Il commissario e la partita delle correnti nel Pd romano

Dalla Rassegna stampa

Se Sant'Andrea delle Fratte piange, Via Cristoforo Colombo non ride. Uscito malconcio dalle elezioni regionali, il Partito democratico di Roma e del Lazio è in cerca di leadership. Da mesi non riesce a eleggere il segretario regionale e quello romano per una lotta tra correnti in stile vecchia dc. Una paralisi fatta anche di paradossi. Il primo è che il Pd continua a prendere voti, soprattutto nella città di Roma, governata per circa quindici anni. Un bacino di voti importante che rischia però di essere disperso.
Dopo la sconfitta di Emma Bonino nella corsa alle regionali (il Pd e i suoi predecessori non sono mai riusciti a trovare un candidato "dipartito" per via della Pisana), è stato sfiduciato il segretario Alessandro Mazzoli e da mesi non si riesce a trovare il successore. Alla fine, dieci giorni fa, Bersani ha scelto un toscano, Vannino Chiti, per commissariare la regione. Un altro paradosso se si pensa che sulla città operano nomi importanti come l'ex sindaco di Roma ed ex segretario del Pd nazionale Walter Veltroni o l'attuale presidente della provincia Nicola Zingaretti.
A chi provi a capirci qualcosa, le prime fonti rispondono sibilline: «dunque, per la mozione Bersani deve parlare coi bersaniani-bersaniani, i bersaniani-d'alemiani, i bersaniani-lettiani e i bersaniani-zingarettiani. Per Franceschini, bastano i popolari, i veltroniani e i franceschiniani...». Quello che si intuisce subito è che la decisione di commissariare non è piaciuta a tutti. Anzi. Una parte dei dirigenti del partito, più o meno riconducibile all'area dei "quarantenni" della mozione Bersani, ha addirittura valutato di ricorrere ai probi viri perché l'intervento dall'alto è previsto dallo statuto del partito solo in caso di «gravi violazioni del codice etico» del partito e non semplicemente perché da sei mesi non si riesce ad eleggere un segretario regionale a' tutti gli effetti: «Sarebbe un'azione estrema e non è detto che la faremo davvero - dice Ernesto Ruffini, membro del comitato di garanzia regionale - da Chiti ci aspettiamo un impegno a riconvocare rapidamente l'assemblea per eleggere un nuovo segretario. Oppure a richiamare alle primarie». Lo scontro è proprio sui tempi di elezione del segretario regionale e di quello di Roma o meglio, su quali siano i tempi migliori per i differenti candidati. E in questa lotta si fronteggiano soprattutto tre aree principali, ognuna con il nome composto come si conviene all'eterna faida Pd: i bersaniani-zingarettiani; i bersaniani-d'alemiani e i franceschiniani popolari.
Sebbene sia stato sindaco per due mandati, pesa meno la componente più legata a Walter Veltroni, trasferita quasi tutta in parlamento e ben poco presente nei 150 circoli della federazione romana. La battaglia è esplosa la scorsa estate, quando i bersaniani -soprattutto quelli di area d'alemiana- hanno candidato alla segreteria regionale il giovane Piero Latino. In teoria, l'accordo interno al partito prevedeva una elezione tranquilla. Il candidato doveva essere appoggiato da tutti i bersaniani, maggioranza relativa all'interno del partito, assieme a quelli di Ignazio Marino, contrari solo quelli della mozione due, i franceschiniani. In pratica però nel segreto. dell'urna qualcuno ha tradito il patto e se è difficile scovare il colpevole, più facile è accorgersi che la mancata elezione di Piero Latino potrebbe favorire la nomina dello zingarettiano Marco Miccoli alla guida del partito romano. Coordinatore di Roma dalle sciagurate elezioni regionali, Miccoli punta da tempo alla nomina ufficiale a segretario, attraverso le votazioni nei circoli previste dallo statuto nazionale ma non ancora ratificate da quello regionale. Attivissimo, sempre presente e molto amato dalla "base" del partito, il coordinatore potrebbe riuscire a mettere d'accordo buona parte delle tante correnti, almeno a livello locale. Sconta però la freddezza di buona parte dei popolari, che vorrebbero piazzare un uomo loro in uno dei due posti decisivi del partito, Roma o la segreteria regionale, e che ora chiedono metodi di votazione meno legati al radicamento nei circoli. «In questi mesi il tesseramento cittadino è stato fatto alla buona e c'è il rischio che nelle iscrizioni i segretari di circolo abbiano favorito alcune aree per sfavorirne altre», dice Lucio D'Ubaldo maggiorente dell'area popolare molto discusso alcuni mesi fa per aver appoggiato Domenico Gramazio all'Agenzia regionale della sanità: «Le strade sono due. O riapriamo il tesseramento o, viste le dimensioni della città di roma, convochiamo le primarie col regolamento normalmente previsto per il partito regionale».
Il coordinatore romano Miccoli al momento abbassa i toni. «Chiti ha promesso di dar rapidamente corso ai congressi provinciali e quindi alle primarie regionali. La platea elettorale nei circoli è di circa 30mila persone, non credo che possano essere eterodiretti tanto facilmente». Sempre che riescano ad orientarsi tra una corrente e l'altra.

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