"È come se avessi vissuto su Marte: quella rivoluzione mi ha tradito"

«È come se avessi vissuto cinque mesi su Marte, e ho scoperto che i marziani sono cattivi. Sì, ho avuto paura». Il Falcon partito dal Libano, senza insegne ma con la bandiera italiana, che ha riportato a Roma Domenico Quirico atterra a Ciampino quando sono passati venti minuti dalla mezzanotte. L’inviato rapito in Siria il 9 aprile, "Dom" come lo chiamano i colleghi della Stampa, appare con gli occhi scavati, smagrito secondo chi lo conosce. Scende le scalette del piccolo aereo e abbraccia a lungo il ministro Emma Bonino che lo attende assieme al capo dell’Unità di crisi della Farnesina Claudio Taffuri: l’inviato indossa giacca beige, pantaloni blu e scarpe da ginnastica, e ha con sé una busta nera con gli effetti personali, come se fosse appena uscito da un carcere. Zoppica leggermente, lui che è anche un maratoneta. Scende anche Piene Piccinin, il professore belga che era stato rapito con lui e che subito dopo ripartirà per Bruxelles. «È stata estremamente dura - dice Quirico, concedendo poche frasi ai tanti colleghi che lo attendono - voglio ringraziare il ministro. Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana ma può essere che questa rivoluzione mi abbia tradito perché non è più quella rivoluzione laica e democratica che ho conosciuto due anni fa ad Aleppo. È diventata una cosa diversa». Gli chiedono se ha sentito o letto della veglia di preghiera per la pace in Siria, e lui qui parla dei marziani. «Non ne so molto. Ho saputo solo oggi chi è il presidente della Repubblica del mio Paese». Alla domanda su come sia stato trattato risponde soltanto «Non bene».
È provato Dom, il volto appare scavato, quasi deformato nella guancia destra, Emma Bonino quasi lo sorregge. Lasciai’ aero porto a bordo dell’auto del ministro. Ai colleghi dice poco. Dirà di più certamente al magistrato che stamattina lo ascolterà a Roma, prima che possa tornare a Torino e abbracciare finalmente la moglie Giulietta e le figlie Metella ed Eleonora che il primo giugno con i veli sulle teste avevano lanciato un video appello destinato alla popolazione e alle autorità di Damasco per chiedere la liberazione di papà, «nel vostro Paese per raccontare all’Italia il dramma della Siria». Con Giulietta invece, l’unico contatto in cinque mesi, con una telefonata brevissima. Poi soltanto il silenzio e la paura, con voci preoccupanti sulle sue condizioni. La sua odissea è comincia lo scorso 9 aprile, poco dopo il suo ingresso in Siria, quando si capisce che è stato sequestrato. Il silenzio stampa è rigoroso, poche indiscrezioni filtrano sulle trattative, e tutte sconsolanti. All’inizio, nessuno riesce a capire dove sia, in che mani, con quali trattamenti, perché. Si aspetta. Il "fiocco giallo" esposto in prima pagina dalla Stampa per chiedere la liberazione di Domenico diventa un simbolo generale, adottato anche dall’Ordine dei giornalisti. Papa Francesco fa un appello per la libertà di tutti gli ostaggi. Il 6 giugno, arriva la prima boccata d’aria: una rapidissima telefonata alla moglie. È la prova che Domenico è vivo, ma la paura resta. Ieri la grande paura è finita. Al magistrato Quirico dirà dei circa 150 giorni passati in mano ai rapitori, delle sicure privazioni e delle possibili violenze. Lui, Dom, dal Falcon ha già dettato il suo primo articolo della sua nuova vita.
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