Come coniugare rigore e crescita

Dalla Rassegna stampa

Il governo è in un vicolo cieco. Col trascorrere delle settimane è evidente che la scelta del ministro dell’Economia di attendere che passi la tempesta, nonostante il deficit sia cresciuto meno che altrove, non riesce a far fronte alla caduta dei consumi e all'aumento della disoccupazione. Non solo. Senza riforme, il giorno in cui la crisi finirà riprenderemo a crescere dell’1% l’anno: la disoccupazione rimarrà elevata per oltre un decennio.

Ma non appena la posizione di Giulio Tremonti è apparsa indebolirsi, si è fatto avanti il «partito della spesa». Il gettito dello scudo fiscale è stato speso più volte, prima ancora che sia rientrato un solo euro. Gli emendamenti alla Finanziaria presentati per il Pdl dal senatore Mario Baldassarri aumenterebbero significativamente il deficit. I 37 miliardi di minori tasse e maggiori spese in infrastrutture che egli propone sono perlopiù finanziati da tagli agli acquisti delle pubbliche amministrazioni. Vi è certamente molta spesa pubblica inefficiente, ma chiunque abbia osservato, per esempio, le condizioni in cui versano i nostri edifici scolastici converrà che questa copertura è non più che una speranza.

Giulio Tremonti fa bene a resistere al partito della spesa ma, poiché non riesce ad arginare la caduta del reddito, il debito cresce comunque: era sceso al 104% del Pil, tornerà al 118 fra un anno. A questo punto serve una svolta. Occorre capire che per mantenere stabile il debito, il rigore finanziario deve essere coniugato con politiche che accelerino la crescita.
La pressione fiscale, che all’inizio del decennio era scesa verso il 40%, è tornata sopra il 43: la riduzione delle tasse sul lavoro e sulle imprese è quindi la prima condizione. Ma poiché il nostro debito è quasi il doppio di quello tedesco, non ci possiamo permettere di seguire la signora Merkel e semplicemente tagliare le tasse. Interventi come l’eliminazione dell’Irap debbono essere parte di un pacchetto di misure che ne compensino (in tempi brevi) le conseguenze sul deficit e soprattutto ne amplifichino gli effetti sulla crescita.

Tra le molte cose che si potrebbero fare: accelerare l’aumento dell'età della pensione ripristinando lo spirito delle norme Maroni cancellate dal governo Prodi; pagare i debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese private. Si stima ammontino a 60 miliardi, un aiuto che vale quasi il doppio della eliminazione dell’Irap (e senza effetti sul debito, poiché sono spese già contabilizzate). Allineare la tassazione delle rendite finanziarie a quanto si fa in Europa. Avvicinare le tasse ai cittadini, cioè diminuire le imposte destinate allo Stato e sostituirle con tasse locali che hanno un enorme vantaggio: i cittadini possono prima decidere come destinarle e poi controllare la qualità dei servizi forniti. Due esempi. Ripristinare l’Ici al di sopra di un reddito minimo e rimuovere il vincolo di legge sulle tasse universitarie consentendo agli atenei di modularle sul reddito familiare, con borse di studio per i meno abbienti. Si chiama federalismo fiscale? Bene, allora cominciamo ad attuarlo subito.

Queste misure, accompagnate da qualche liberalizzazione (ad esempio l’apertura dei servizi pubblici locali) e dalle riforme sul pubblico impiego del ministro Renato Brunetta, accelererebbero la crescita e forse consentirebbero a Silvio Berlusconi di adottare, entro fine legislatura, le tre aliquote che ha promesso agli italiani.
 

© 2009 Radicali italiani. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK