I colonnelli s’azzuffano nella cena al veleno

Si è fatta notte profonda negli opulenti corridoi neoclassici dell’Hotel «Principe di Savoia» e in una saletta riservata si sta consumando una faticosa cena, alla quale partecipano sei colonnelli del Fli e il loro generale, Gianfranco Fini. In quel momento la tensione è altissima, ma nessuno dei partecipanti riesce ancora ad immaginare che stanno partecipando a quella che - nell’immaginario - è destinata a diventare la «cena delle beffe». Argomento dell’incontro in hotel (siamo a cavallo tra sabato e domenica) è l’organigramma di «Futuro e libertà». In ballo c’è il posto di vice-Fini e in corsa sono i due più stretti collaboratori del Capo: Adolfo Urso, 53 anni, di Acireale, che dopo essersi dimesso dall’incarico «pesante» di vice-ministro per il Commercio estero, per due mesi e mezzo ha svolto il ruolo di coordinatore del Comitato promotore del Fli. E dunque - ora che, dalla «serie B», si passa alla «serie A» - Urso crede di meritare la conferma. Ma alla poltrona di vice-Fini ambisce anche Italo Bocchino, 43 anni, casertano, astro ormai nato del firmamento finiano, il personaggio che da mesi è il più vicino al Presidente della Camera ed e stato l’artefice dell’unico, vero «miracolo» dei futuristi, la costituzione di un gruppo alla Camera formato da ben 35 deputati.
Ma ora, a cena, sembra arrivato il momento delle scelte irrevocabili. Fini in prima battuta preferisce ascoltare.
Ma dopo una discussione aspra, si apre uno spiraglio. Dice Bocchino: «Se così stanno le cose, io preferisco restare al Gruppo e per me è giusto che il Coordinatore lo faccia Adolfo». Pasquale Viespoli, presidente dei senatori in buona parte diffidenti verso Bocchino, dice che anche per lui Urso numero due va benissimo. Annuiscono anche Della Vedova e Ronchi. Obietta il triestino Roberto Menia: vede bene sé stesso o come capogruppo alla Camera o come coordinatore. La via d’uscita sembra vicina, ma Fini - irritato perché non si trova l’unanimità - si alza e se ne va a dormire, lamentandosi che in questo modo «tornano le correnti». Certo, i neo-colonnelli si dimostrano litigiosi, ma se si è arrivati in pieno congresso con questo macigno, il presidente della Camera sa di non potersela prendere soltanto con i suoi «ragazzi», anche perché da quando è morto Pinuccio Tatarella, che quasi sempre riusciva ad armonizzare e ad impacchettare le soluzioni «giuste», nella destra è sempre stata difficile l’integrazione tra personalità diverse. Ma comunque, dopo una cena spiacevole con Urso e Bocchino che si sono rinfacciati l’aver spifferato alle agenzie notizie per «bruciarsi» a vicenda, il coordinatore uscente sembra in pole position.
Ma ieri mattina cambia tutto. Si decide di istituire la carica di «vicepresidente» del partito e all’ora di pranzo comincia a circolare un organigramma con Bocchino vicepresidente e Urso coordinatore della segreteria. Ma non ci siamo ancora. Fini riunisce di nuovo i «magnifici sei» in una saletta del «Padiglione 18» della Fiera. Si litiga, ma alla fine si chiude: Bocchino sarà il vicepresidente, Urso il presidente dei deputati, Menia il coordinatore, Della Vedova il portavoce, Ronchi il presidente dell’Assemblea nazionale. Si alzano tutti e Fini assicura: «Scriverò io il comunicato, fatemi parlare con Menia e poi chiudiamo». Ripartono tutti, alla Fiera restano soltanto Fini, Bocchino e Menia.
Due ore più tardi, il comunicato ufficiale ribalta tutto: Bocchino resta dove era, ma Urso da capogruppo passa a portavoce, mentre Della Vedova viene suggerito come presidente dei deputati. La penalizzazione così plateale di Urso è dovuta al fatto che si sia opposto alla «Santa Alleanza» con il Pd? Lui non risponde al telefonino e fa sapere tutta la sua «costernazione». Nella segreteria - dove compaiono personaggi di spessore come Umberto Croppi, Federico Eichberg, Maddalena Calia - è stato indicato anche il professor Alessandro Campi. Ma dal Fli non lo hanno interpellato. Pare che Campi sia stato avvisato dal fratello. La cena delle beffe è destinata a prolungarsi anche nei prossimi giorni.
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