Colonie, Nethanyau si scusa con gli Usa

Dalla Rassegna stampa

La crisi tra gli Stati Uniti e Israele è superata, fa sapere il premier Netanyahu, mentre il vicepresidente Usa Joe Biden, parlando all'università di Tel Aviv ad una platea priva di autorità di governo, lancia un appello per la ripresa de lnegoziato. Una tempesta in un bicchier d'acqua, dunque? Non proprio, se le assicurazioni di Netanyahu, apparse «significative» a Biden, non hanno per niente impressionato i palestinesi tuttora decisi a chiedere che la decisione che ha scatenato la bufera venga annullata prima di sedersi al tavolo delle trattative.
Riassumendo brevemente: mentre Biden s'apprestava a benedire la ripresa del processo di pace, sia pure nel formato minimalista e poco credibile dei "colloqui indiretti" il governo israeliano, su iniziativa del ministero per la Casa, aveva pensato bene diannunciare il via libera alla costruzione di 1600 nuovi appartamenti in un quartiere ultraortodosso di Gerusalemme est, zona contesa che i palestinesi rivendicano come loro capitale e la cui destinazione finale dovrebbe esserel asciata al negoziato. Era seguita, la ferma condanna della decisione da parte di Biden  ele scuse del ministro, Yishai, per l'«imbarazzo» arrecato all'ospite. Ma questo a Biden non poteva bastare.
Netanyahu è ricorso, allora, ad un espediente già usato per bloccare le crisi scaturite in passato dall'inarrestabile colonizzazione dei Territori, considerata illegale dalla comunità internazionale e inaccettabile se associata all'impegno di voler raggiungere la pace coi palestinesi.
Il premier conservatore ieri mattina ha chiamato Biden e lo ha «aggiornato» sul fatto che il progetto di Ramat Shlomo, al centro della disputa, «ha già superato diversi stadi di pianificazione negli ultimi anni», vale a dire, è roba vecchia, «il via libera finale sarà soltanto dato dopo più di un anno e i lavori probabilmente cominceranno soltanto fra pochi anni». Dunque, perché preoccuparsi di una cosa che è ancora di là da venire?
Lo stesso meccanismo venne evocato nel 1996, quando Netanyahu, divenuto premier per la primavolta, diede il via libera contro il parere degli alleati americani all'insediamento di Har Oma, sempre a Gerusalemme Est. In quell'occasione Netanyahu venne svegliato di notte da una Margareth Albright, allora segretario di Stato, su tutte le furie. La Albright, tuttavia, si accontentò delle spiegazioni. Adesso Har Oma domina con le sue case dai tetti rossi sul panorama tra Gerusalemme e Betlemme. Apparentemente anche Biden ha accettato la formula dilatoria suggerita da Netanyahu. Nel suo discorso a Tel Aviv, il vicepresidente americano ha ribadito che la decisione di costruire a Ramat Shlomo mina la fiducia tra le parti, ma non ha accennato al fatto che gli Stati Uniti chiederanno a Netanyahu di fare un passo indietro.
Ad un certo punto, nel tentativo di tamponare la falla, Biden ha scaricato sui palestinesi di aver equivocato sulla reale portata della decisione su Ramat Shlomo, pensando che le costruzioni sarebbero iniziate subito. Invece, ha aggiunto Biden, «i negoziati avranno tutto il tempo per risolvere questo ed altri importanti problemi». Dunque, che il dialogo riprenda subito.
In realtà, i palestinesi e, a giudicare dalla prima reazione di condanna, gli stessi americani, avevano capito benissimo. Per questo Abu Mazen ha fatto sapere ieri che considera «inaccettabili» le scuse del premier, mentre il capo negoziatore, Erekat, ha chiesto l'annullamento di tutte le misure edilizieprese su Gerusalemmeest. Di rimando, il segretario del governo, Zvi Hauser, gli ha ricordato che «Gerusalemme è la capitale d'Israele e che i lavori saranno condotti su tutto il territorio della città».
 

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