Il Colle incoraggia il nuovo inizio ma chiede equilibrio istituzionale

Il punto più politico dell’intervento di Napolitano riguarda il rapporto fra la Costituzione vigente e la cosiddetta Costituzione «materiale». Ossia la tendenza a considerare le norme costituzionali già modificate «di fatto» con il variare delle contingenze politiche, benché nessuno si sia preso il disturbo di cambiare la Carta del ’48 attraverso le procedure previste. Abbiamo dunque un presidenzialismo «di fatto», un’elezione diretta del premier «di fatto» e anche uno squilibrio sostanziale a favore del governo e a svantaggio del Parlamento, sommerso dai voti di fiducia e messo nell’impossibilità di svolgere il suo ruolo.
In altri termini, la «Costituzione materiale» è una minaccia insidiosa posta alla base degli equilibri istituzionali. Si sovrappone all’altra Carta, quella vera, e la delegittima. Aquesto punto si sbilancia l’assetto dei poteri l’incendio divampa, come è avvenuto ancora di recente. Lo scontro pro o contro Berlusconi è anche il conflitto tra chi agisce come se la Costituzione fosse già cambiata e chi la usa come scudo contro la destra. E i riformatori soccombono.
Si capisce allora che Napolitano sia preoccupato. La sua solidarietà a Berlusconi ferito a Milano è stata affettuosa, come genuina è l’inquietudine per il serpeggiare della violenza. Ma nel suo discorso, uno dei più complessi e importanti pronunciati dall’inizio del mandato, ogni parola è calibrata con estrema attenzione. Ne emerge un mosaico rispettoso verso l’esecutivo e il premier, ma fermo nel difendere il Parlamento e i criteri generali di un assetto che si fonda su «pesi e contrappesi» non negoziabili. A cominciare dalla Corte Costituzionale, che non è un accessorio, bensì un organo essenziale nell’equilibrio democratico.
Si tratta allora di cogliere i pochi indizi positivi emersi negli ultimi giorni dal dibattito pubblico per riannodare i troppi fili spezzati. Il 2010, fa capire il capo dello Stato, sarà un anno cruciale. Oil sistema politico si mostrerà capace di fare la riforma delle istituzioni in un quadro di collaborazione, oppure il futuro del paese sarà nero. Con il rischio di «lacerare quel fondo di tessuto unitario» che è ancora vitale e che costituisce una preziosa ricchezza dell’Italia.
Napolitano voleva mostrarsi fiducioso ed è riuscito a trasmettere un messaggio di moderato ottimismo. In fondo, se il clima dopo l’aggressione di Milano si è fatto più disteso, lo si deve anche all’insistenza con cui il Quirinale ha sollecitato per mesi maggioranza e opposizione a evitare il massacro reciproco.
Si vedrà presto quanto vale davvero questa distensione. Il presidente fa il possibile per far crescere la gracile pianticella, ma sarà un lavoro lungo ed esposto a mille pericoli. Non bastano le espressioni natalizie di Berlusconi, le mosse di Bersani, le parole di D’Alema e Tremonti, la tessitura discreta di Gianni Letta. Occorre molto di più. Ad esempio la capacità di affrontare la riforma della giustizia, cioè il nodo cruciale, senza riserve mentali e senza la diffidenza reciproca che da anni ingessa il confronto. In generale, si sottolinea il valore delle mozioni votate al Senato o l’equilibrio della «bozza Violante». Ma il punto è politico: si accetta di cambiare il sistema con Berlusconi, in attesa del dopo-Berlusconi? E dall’altra parte, si ammette l’idea che all’attuale Costituzione non può essere negata la sua legittimità in attesa di una riforma coerente? Il sentiero è stretto. Ma i riformisti di buona volontà hanno una sponda in Napolitano.
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