Collaborazione Bersani-Monti Sel non ci sta: «Senza di noi»

Prima di salire sull’aereo che lo deve riportare a Roma, ci tiene a precisare che non ha aggiunto «uno iota» a quel che va ripetendo da mesi, che è stupito per la discussione che si è aperta in patria. In Italia già si parla infatti di «patto di Berlino», con il centrodestra che attacca «l’intesa pro-Germania» e Sel che minaccia di «rompere col Pd».
Cos’è successo? È successo che Pier Luigi Bersani, in visita nella capitale tedesca per incontrare il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, spiega ai giornalisti che ha di fronte che è «prontissimo» a una collaborazione con Mario Monti dopo il voto. Un’uscita che segue di un paio d’ore una dichiarazione rilasciata dal premier, e cioè che «di alleanze si parla dopo il voto» perché «ognuno deve presentare i contenuti del suo programma di governo».
Le parole di Monti rimbalzano a Berlino, il leader del Pd non si scompone e commenta: «Monti è arrivato da solo. Era il professor Monti. Non aveva una forza politica, né una maggioranza parlamentare. Gliele abbiamo date noi. Noi abbiamo voluto Monti, noi abbiamo affrontato il popolo che ha visto la riforma del lavoro e delle pensioni. Ci riteniamo protagonisti nel bene e nel male di questo anno e mezzo. Lui ha costruito una sua forza politica e ora è nella competizione. Ci sono quindi le schermaglie elettorali, ma io sono prontissimo a una collaborazione con tutte le forze che siano contrarie al leghismo, al berlusconismo, al populismo. Con tutte queste forze e quindi certamente anche con il professor Monti».
Chiude il cerchio un’altra dichiarazione di Monti, che fa sapere di apprezzare l’apertura di Bersani e di essere «disponibile ad un’alleanza con coloro che saranno seriamente impegnati nelle riforme strutturali». E le polveri prendono fuoco, non solo perché Pdl e Lega iniziano a parlare di «inciucio», ma anche perché Sel, con il braccio destro di Nichi Vendola, Nicola Fratoianni, fa sapere: «Se Bersani vuole l’alleanza con Monti, vada con Monti. Noi non voteremo mai quell’alleanza, a costo di rompere con il Pd». Bersani, in questo viaggio in Germania, parla prima al German council on foreign relations e poi durante l’incontro con il ministro delle Finanze di Angela Merkel soprattutto di come fronteggiare la crisi attraverso una maggiore integrazione europea, dell’opportunità di eleggere alle prossime elezioni europee anche il presidente della Commissione Ue, di quel che possono fare Roma e Berlino per dare all’Unione quell’unità economica che a tutt’oggi manca: «Vedrei volentieri se, ad esempio, il Parlamento italiano e quello tedesco convocassero un’assise congiunta sul futuro dell’Europa, aprissero una discussione politica».
Ma è chiaro che la tappa berlinese serve al leader Pd anche per rassicurare gli interlocutori stranieri sul fatto che dopo le elezioni in Italia ci sarà la stabilità auspicata anche dai partner comunitari. Il ragionamento di Bersani è quello che va ripetendo da mesi, riguardante il confronto tra progressisti e moderati, e ultimamente declinato nella versione «l’Italia ha il diritto di avere qualcuno che abbia il 51%, se lo avremo noi lo useremo come fosse il 49%». Il leader del Pd lo ripete anche da Berlino, sottolineando che «l’Italia ha problemi molto seri» e che quindi il centrosinistra, dato in testa nei sondaggi, si rivolgerà comunque dopo il voto «a tutte le forze europeiste e democratiche, a tutte le forze che non siano eredi del berlusconismo e del leghismo».
Domanda: per fare cosa? «Si vedrà». Dice infatti Bersani che «c’è anche il merito delle cose». E cita non a caso due questioni su cui sono intervenuti negli ultimi giorni Pier Ferdinando Casini e Monti: «Sulle unioni civili o sul mercato del lavoro ho sentito cose che non mi convincono. Io alleanze non le faccio a tutti prezzi». In questa fase è d’obbligo evitare fughe in avanti, c’è da fare il pieno di voti, il 24 e 25, e c’è da salvaguardare un alleato, Sel, che sta soffrendo nei sondaggi il movimentismo di Antonio Ingroia. Per questo Bersani quando vede montare il clamore su quel «prontissimo a una collaborazione con Monti» tira il freno: «Credo di non avere aggiunto uno iota a quel che ho sempre detto. Dico le stesse cose ma i titoli cambiano». In realtà, dopo le scintille viste nei giorni scorsi su Montepaschi e sul Pd «nato nel ‘21» (Monti dixit), è evidente una rinnovata sintonia tra Bersani e il premier. E non solo perché il Professore ha iniziato a menar fendenti a Berlusconi almeno quanto il segretario Pd, ma anche perché su diverse proposte programmatiche per il futuro ci sono parecchie convergenze, non da ultimo su un pacchetto riguardante la riforma della giustizia, contenente nuove leggi sul falso in bilancio, sull’anticorruzione, sui tempi di prescrizione.
E questo mentre il leader Pd ribadisce sì che ascolta i sindacati, «perché se ascolti fai meno errori», e però aggiungendo: «Credo al dialogo sociale ma credo anche che non debba paralizzare le decisioni». Ora però non va enfatizzata troppo questa sintonia. Bersani non vuole distogliere l’attenzione dal fatto che il centrosinistra è l’unica forza «che può battere la destra e i populismi», che non c’è possibilità di rimonta per il centrodestra, che «Pdl e Lega stanno attorno al 24%», che Berlusconi con l’uscita su Mussolini difficilmente ha guadagnato nei sondaggi perché «l’Italia è antifascista, anche se naturalmente non manca una percentuali di nostalgici» e che in conclusione il «sorpasso» annunciato dall’ex premier («li abbiamo quasi raggiunti, anzi siamo in area di sorpasso») è solo l’ennesima bufala: «Il sorpasso lo stanno vedendo con il binocolo, al di là dei sondaggi che tira fuori Berlusconi».
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