Col cappello in mano

I cultori interessati del folklore - se non saranno sufficientemente appagati dall'incredibile show di ieri - ricameranno sulle amazzoni di scorta, sulla suntuosa tenda beduina e sui cavalli purosangue al seguito. Ma non sono né i sermoni alle hostess, né il folklore a dare il senso della visita in Italia del Colonnello Gheddafi, Leader della Rivoluzione, e soprattutto "imperatore degli affari".
Il senso, quello vero, di questo sbarco è ben altro a darlo. Sono gli Encomi e i Silenzi. Sono gli affari dispensati dal munifico Raìs, le promesse miliardarie, la potenza sempre più invasiva dei fondi libici nei salotti buoni della nostra finanza e del sistema bancario. «La Libia è la pupilla dei miei occhi», ha ripetuto estasiato l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni. C'è da credergli. Ma quegli occhi sembrano chiudersi di fronte alle notizie che giungono dai lager libici. Dei diritti umani calpestati dall'«amico Muamar»,meglio non parlarne: si rovinerebbe la festa per il secondo anniversario del Trattato di Amicizia.
Un silenzio assordante. Un silenzio complice. Un silenzio che sa di morte. A quell'umanità sofferente il governo del Cavaliere ha chiuso la porta in faccia. L'ha ricacciata indietro, pur sapendo a cosa andava incontro. A violenze e abusi, in molti casi alla morte. Incurante del fatto che migliaia di quelle donne e di quegli uomini sono titolari di un diritto sancito da convenzioni internazionali ratificate dall'Italia: il diritto all'asilo. L'Italia ha fatto della Libia il Gendarme del Mediterraneo. Un "investimento" di cui il ministro dell'interno Roberto Maroni non si vergogna di farsi vanto. L'imperatore che dispensa appalti non va infastidito. Va omaggiato. Esaltato. Corteggiato. Ma non è certo con questa politica del cappello in mano, e dal portafoglio pieno, che si sollecita il rispetto da parte del regime libico degli standard minimi di libertà e dei diritti umani e civili. Così si è complici di una dittatura. Ben pagati, ma complici.
Che ne è stato, per esempio, dei 250 eritrei segregati per giorni nel lager di Brak, poi "liberati", ma di cui non si hanno più notizie? Molti di loro cercavano di raggiungere l'Italia per salvarsi. Sono stati respinti. L'Unità ha cercato di raccogliere i loro appelli disperati. Ha, in una solitudine che solo di recente pare essersi interrotta, denunciato la "diplomazia degli affari" (pubblici e privati) che ha portato Silvio Berlusconi ad abbracciare (non solo metaforicamente) dittatori e satrapi che della democrazia hanno fatto e continuano a far scempio.
Cattive compagnie che andrebbero evitate. Chiudere con il nostro passato coloniale, significa aprirsi agli eritrei, agli etiopi, ai somali, ai libici che fuggono da guerre, violenze, pulizie etniche, e bussano, inutilmente alle nostre porte. Significa questo e non celebrare, e fare affari, con i dittatori che quei Paesi hanno devastato e depredato. Agire per i rispetto dei diritti umani non contrasta con gli interessi nazionali. Li rafforza. Perché rende più credibile e autorevole l'Italia nel mondo. Di autorevole e credibile il Cavaliere che omaggia il Colonnello ha poco o niente. Una verità che i laudatores interessati fanno sempre più fatica a occultare.
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