La coabitazione di Amato e Letta sarebbe una vittoria del buon senso

Ieri sera c'era ancora un nodo politico sulla via di Mario Monti. Un nodo di prima grandezza, ma non tale da bloccare la nascita del governo. Comunque vadano le cose, alle undici di stamane nascerà il governo di emergenza. A quell'ora Mario Monti presenterà la lista dei ministri al capo dello Stato. Subito dopo ci sarà la cerimonia del giuramento e l'esecutivo «del presidente», fortemente voluto da Napolitano, prenderà possesso dei suoi uffici, in attesa di presentarsi alle Camere per il voto di fiducia. Su questo percorso non ci sono dubbi.
Ma nelle ultime ore si è tentato di sciogliere il nodo residuo. Che riguarda il profilo complessivo dell'esecutivo. I tecnici da soli garantiscono competenza, ma non si può chiedere loro, in molti casi, un'adeguata conoscenza della macchina statale e dei complessi meccanismi amministrativi che la regolano. Né si può credere che sia trascurabile il problema del raccordo politico fra la compagine ministeriale e il Parlamento, dove siede la maggioranza composita che dovrà votare i provvedimenti di Monti.
È una questione molto delicata e si capisce che il capo dello Stato ne sia consapevole. Un governo ricco di figure tecniche che prende corpo tra veti incrociati di natura politica, non nasce sotto una buona stella. Significa che il suo lato debole (la mancanza di radici politiche) rischia di prevalere alla prima difficoltà. E il governo Monti di difficoltà dovrà affrontarne parecchie. In secondo luogo, è pericoloso disperdere il contributo di alcune personalità che appartengono, in senso lato, a diverse tradizioni politiche, ma che soprattutto conoscono a fondo lo Stato.
Giuliano Amato è da tempo una risorsa della Repubblica ed è comprensibile che si voglia utilizzare al ministero degli Esteri la sua lunga esperienza, affiancandolo a Monti quasi come un co-presidente del Consiglio. Gianni Letta, l'altro nome-simbolo di queste ore, è stato il protagonista nel campo istituzionale della lunga stagione che ora si è conclusa. È noto che non ha mai ricoperto cariche nel Pdl, ma oggi è diventato suo malgrado il pretesto su cui si gioca la «discontinuità» che il Pd di Bersani vuole affermare. Come se il governo Monti non fosse di per sé un monumento alla «discontinuità» rispetto al recente passato.
Il fatto è che escludere Letta e aprire le porte della Farnesina ad Amato sarebbe sulla carta possibile, ma determinerebbe un grave sbilanciamento politico dell'esecutivo. Quando invece l'equilibrio fra centrosinistra e centrodestra è un requisito essenziale: anche per rasserenare il clima generale del paese. Di conseguenza, o entrano entrambi o insieme restano fuori.
Vedremo se la notte ha portato consiglio.
Ieri sera non si respirava ottimismo. Semmai si avvertiva un pizzico d'ipocrisia. Per la semplice ragione che il Pd e il Pdl, più il «terzo polo», voteranno insieme in Parlamento a sostegno di Monti. E questo già rappresenta una novità abbastanza clamorosa (forse «un miracolo», come dice Casini). Perché allora considerare inaccettabile che due figure ben conosciute per il loro servizio allo Stato siedano una accanto all'altra in Consiglio dei ministri? Perché indebolire in partenza Monti per un puntiglio o per un piccolo calcolo? L'interesse nazionale vorrebbe il contrario, ma si sa che i partiti ragionano con le loro logiche. Anche quando si trovano sul ciglio del burrone.
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