Cinque consigli al Premier

Dalla Rassegna stampa

Il premier sta risanando ferite fisiche e psicologiche. Lo ha accompagnato l´augurio di quelli che hanno risentito la oscena violenza – contro di lui e l´istituzione che rappresenta – come un´offesa a loro stessi. Certo, l´aggressione non è nata dal nulla. Da sempre, i poveri matti sono, insieme, vittime e portavoce di un malessere collettivo, gridato o sotterraneo, che li avvince.
Ma come pacare quel malessere? L´"assoluto riposo" può, e magari dovrebbe, significare per il premier l´irrompere della riflessione su questa domanda, dopo una tumultuosa stagione di ire e di insulti. In questa precaria quiete, può forse aiutare anche qualche modesto consiglio non richiesto.
Il primo consiglio è di fare subito, con il "metodo democratico" (di cui parla l´art. 49 della Costituzione) il partito-che-non-c´è. Il premier non può credere che tutto il movimento da lui suscitato possa risolversi per sempre nella sua persona o con le tessere omaggio. Lo sgomento che, dopo il ferimento, ha attraversato l´Italia, nel vedere in quali mani erano finiti i 13 milioni e mezzo di voti del Popolo della Libertà, è stato un sentimento persino imprevisto. Gli sboccati anatemi dei dirigenti dei gruppi parlamentari di maggioranza hanno mostrato non solo e non tanto la loro pochezza politica, quanto una dose di avventurismo, impensabile in chi ricopre cariche pubbliche di tale portata. Ecco perché spetta ora al leader carismatico guardare ad un meccanismo democratico di selezione per creare, con il partito, anche una dirigenza politica degna di questo nome.
Si sa: l´istituzione partito in Italia (e non solo) è in cerca di una forma nuova. Si moltiplicano fondazioni e "scuole" che sembrano però prodotti in attesa di un produttore: un magnete politico da ritrovare. Con la sua consumata esperienza di "società della comunicazione", il premier può spendere il suo attuale consenso per sperimentare procedimenti nuovi di assemblaggio politico: complementari al tradizionale, e sempre fruttuoso, insediamento territoriale.
Il secondo consiglio è di evitare, dopo l´attentato alla sua persona, ogni attentato alla libertà di tutti. Sono fuori discussione le ipotesi del codice penale (e delle leggi che lo integrano: come quella contro il terrorismo). Ma che dopo 61 anni di pacifica democrazia di massa, si pensi di "ritoccare" (come per un lifting) i contenuti di libertà costituzionali "di base" (come l´art. 17 sulla libertà di riunione e l´art. 21 sulla libertà di comunicazione) è cosa senza giustificazione alcuna. Si rischia al contrario, di offrire pulsioni per nuove ribellioni e follie. Specie se si tocca quello spazio pubblico mondiale che si chiama Internet. Che non può certo essere considerato off-shore rispetto alla norma penale: ma che è certamente la zona più accessibile e fruibile, e perciò più sensibile, di nuova libertà (quella che, si è appena detto, può anche far da leva per una ripresa della partecipazione politica). Né si può dimenticare che il contesto è quello comprovato di "governo del governo" sull´80 per cento della comunicazione politica che ricevono gli italiani, Ogni nuova prescrizione in questo campo è perciò sospetta: "ogni muta è una caduta", vale qui l´antico detto popolare.
Il terzo consiglio è di una migliore informazione sulle nostre istituzioni di garanzia costituzionale. Il premier non ha intorno a sé gente politicamente sprovveduta. Sembra frequentare però gente ignara o incapace di capire quel che gli suggerisce in questa delicatissima area della politica. Così gli sfugge il concetto stesso di garanzia istituzionale: la oggettività indiscutibile che assumono le persone che ne sono titolari e la neutralità delle loro decisioni: bene di tutti anche quando fanno male a chi le subisce. Ad esempio, quando parla, in assemblea europea, contro la Corte costituzionale, il premier non sa che i suoi colleghi – di Germania, Francia, Spagna, ecc. – devono "sopportare" tribunali costituzionali molto più forti del nostro: per poteri, per competenze, per raccordi con l´opposizione parlamentare. Egli "spara" dunque contro la Corte costituzionale più "debole" di tutta l´Unione europea. Così come quando chiama in causa il curriculum politico dei singoli giudici della Corte, il premier ignora che nel prototipo mondiale di questi tribunali costituzionali, che è la Corte Suprema degli Stati Uniti, attualmente cinque di quei nove giudici "a vita" sono di nomina repubblicana (tre dai Bush, due da Reagan). E che, dunque, secondo questa "dottrina" italo-italiota, Obama sarebbe condannato alla minoranza perpetua nei giudizi di costituzionalità sulle sue leggi. Ma Obama neppure in sogno direbbe una sola parola contro il "governo dei giudici". Se lo facesse, sarebbe squalificato per sempre. E, certo, si sarà assai meravigliato per certe espressioni dell´amico italiano (se mai gliele hanno riferite).
Il quarto consiglio è di diffidare di quello che, in materia di riforme costituzionali, gli dice la sua maggioranza e anche di quello che sente dire dall´opposizione. Né dall´una né dall´altra parte vi è, finora, un discorso sensato di politica costituzionale.
Per orientarsi, il premier dovrebbe seguire il suo istinto. Che è quello di cominciare dalle garanzie. Con una correzione, però. Garanzie non sono solo quelle esclusive per i "suoi" processi, affogate nella generale questione della giustizia (magari "raccontata" con curiosa circolare ai nostri ambasciatorie nell´Ue). Garanzie sono anche, e forse soprattutto, quelle negate all´opposizione in Parlamento, e, dunque negate all´intera democrazia italiana, all´epoca di un maggioritario di piombo. Se si mettono assieme, al punto di partenza, questi discorsi comprensivi anche di questa necessità, forse si può andare avanti. Se, invece, si pretende di iniziare dalla razionalizzazione-legittimazione di uno scomposto "governo di fatto", senza curarsi degli equilibri complessivi della Costituzione, ogni riforma è destinata al fallimento (come quella tentata dai famosi "4 di Lorenzago" e sotterrata da un referendum da non dimenticare).
Il quinto consiglio è quello di diffidare anche di questi consigli. Eventualmente dopo averli soppesati per un breve momento. Sono tempi in cui ogni parere può servire. Come ha detto il Presidente della Repubblica, nessuno può chiedere al premier di lasciare, fino a che la fiducia parlamentare gli sarà accordata. Né la violenza potrà in alcun modo sostituirsi al Parlamento. Tuttavia, il Paese e la sua storia (unitaria, in questo) vanno maneggiati con cura. Vi è una risalente fragilità italiana che non sopporta strappi né sovraccarichi.

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