Cina, accuse ai separatisti uiguri Xi: «Colpiremo con durezza»

Dalla Rassegna stampa

C’erano due donne nel gruppo di terroristi che sabato notte ha fatto una strage tra la folla alla stazione ferroviaria di Kunming, capoluogo della provincia meridionale cinese dello Yunnan. A terra, davanti alla biglietteria e nel piazzale della stazione, sono rimasti i corpi senza vita di 29 persone e 143 feriti, più quattro del commando abbattuti dal fuoco della polizia. Una caccia all’uomo durata una ventina di minuti; gli aggressori, che secondo le testimonianze erano vestiti con tute nere, erano armati di coltelli lunghi una ventina di centimetri, di quelli che si usano per spaccare a metà i cocomeri. I sopravvissuti raccontano che quelle ombre nere hanno cominciato a pugnalare metodicamente tutti quelli che si trovavano davanti. Le immagini rilanciate dai testimoni sui social media sono raccapriccianti: cadaveri martoriati, bagagli abbandonati, scie di sangue sul pavimento. «Erano ben addestrati, tutto è stato organizzato dai separatisti della provincia occidentale dello Xinjiang», hanno detto le autorità di Kunming.

Lo Xinjiang è la terra della minoranza uigura, di fede musulmana. È stata una scena da film dell’orrore, con quei morti viventi che continuavano a tirare fendenti con i coltelli, difficili da individuare tra la folla impazzita di paura. Un poliziotto, finito spalle al muro dopo aver svuotato il caricatore della pistola, è stato fatto a pezzi. «Colpivano come animali, li ho visti mentre tagliavano la gola a un uomo a pochi metri da me», ha raccontato il cameriere di un ristorante che si affaccia sul grande piazzale della stazione. Secondo la prima ricostruzione, tra i quattro terroristi uccisi sul posto, uno era una donna e un’altra è stata ferita e catturata. Il gruppo sarebbe stato composto da dieci, forse dodici membri. Pare che due siano stati arrestati ieri mattina: se e cosi, cinque sono ancora in fuga.

Il presidente cinese Xi Jinping ha detto che lo Stato «colpirà con durezza, secondo la legge» gli autori e gli organizzatori della carneficina, per prevenire nuove azioni; ma non ha commentato l’identificazione dei responsabili come separatisti dello Xinjiang. «Non contano le motivazioni di chi ha agito, chi versa tanto sangue di innocenti è nemico di ogni decenza e sarà ripagato con pugno di ferro», ha detto il ministro della Sicurezza spedito sul posto da Xi. Il fatto che l’accusa agli uiguri formulata dalle autorità dello Yunnan sia stata rilanciata dall’agenzia statale Xinhua, lascia intendere che è nello Xinjiang il terreno dove Pechino si prepara a reagire «con durezza» seguendo l’ordine di Xi Jinping. Già ieri la polizia ha rastrellato a Kunming le poche centinaia di residenti di etnia uigura per interrogarli.

Sono anni che nello Xinjiang, all’estremo Ovest della Cina, si ripetono episodi di violenza: nel 2009 nella capitale Urumqi ci fu una sommossa durante la quale gli uiguri attaccarono i cinesi di etnia han, facendo almeno 200 morti. Da allora, dalla provincia arrivano spesso notizie di agguati e rappresaglie sanguinose. Ma sono episodi che trovano poco spazio sulla stampa cinese e anche su quello occidentale. Poi, lo scorso ottobre, gli uiguri hanno catturato l’attenzione con un attacco nel cuore di Pechino: una jeep carica di taniche di benzina si è andata a schiantare sulla piazza Tienanmen davanti all’ingresso della Città Proibita, proprio sotto il grande quadro di Mao Zedong. Cinque morti tra cui i tre sul veicolo e una quarantina di turisti feriti. La polizia stabilì che i tre erano venuti dal lontano Xinjiang. A quanto pare gli uiguri stanno cambiando strategia e ora esportano la loro lotta senza quartiere nelle città della Cina. Kunming dista più di 1.600 chilometri dallo Xinjiang.

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