Ciarrapico indagato per truffa. Ai danni del presidente Silvio

L’accusa è pesante: truffa ai danni della presidenza del Consiglio dei ministri. Così ieri è finito nei guai Giuseppe Ciarrapico, editore di giornali locali, proprietario di alcune cliniche e dal 2008 anche senatore del Pdl. Con lui indagati dalla procura di Roma anche il figlio Tullio e alcuni collaboratori risultati suoi prestanome.
In base a una dettagliata ricostruzione della Guardia di Finanza il gip del tribunale di Roma ha deciso di sequestrare ieri a Ciarrapico quote azionarie e beni personali per oltre 20 milioni di euro, e cioè per la somma che secondo gli inquirenti avrebbe illecitamente percepito dal dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio. I fatti risalgono al periodo 2002-2007 e già avevano portato al sequestro dei nuovi contributi pubblici alle sue testate (fra cui Latina Oggi e Ciociaria Oggi) e a un contenzioso giuridico che Ciarrapico aveva già perso in ogni grado di giudizio.
«Attacco politico»
L’ex re delle acque minerali (all’epoca di Giulio Andreotti premier ebbe anche la concessione dell’acqua Fiuggi) ieri prima ha fatto spallucce dicendo che si tratta di fatti vecchi, poi ha provato a buttarla in politica, giocando la parte del perseguitato come Silvio Berlusconi e accusando il pro che lo ha messo
sotto inchiesta di contiguità con Luigi De Magistris. La realtà però offre un quadro assai diverso: l’accusa rivolta a Ciarrapico è proprio quella di avere truffato Berlusconi nella sua qualità di presidente del Consiglio pro tempore (ed è curioso che possa diventare medaglia sul petto di un senatore di Berlusconi) percependo contributi pubblici non dovuti per oltre 20 milioni di euro. Il sospetto era già contenuto nell’ordinanza del tribunale di Roma del 7 gennaio 2008 contro cui Ciarrapico e le sue società editoriali avevano fatto ricorso in Cassazione completamente rigettato il 22 ottobre 2008 con sentenza scritta da Piercamillo Davigo e con la condanna a pagare tutte le spese legali e 2 mila euro di ammenda.
Ma l’inchiesta penale che ha portato al sequestro oltre che delle quote delle società editoriali anche del Policlinico Casilino e dello yacht di 24 metri della famiglia Ciarrapico costruito dalla Naval cantieri di Latina e ormeggiato a Gaeta, si basa su nuovi atti trovati durante alcune perquisizioni nell’ufficio del figlio di Ciarrapico, Tullio e su nuove richieste di finanziamenti pubblici avanzate alla presidenza del Consiglio dei ministri in modo - secondo gli inquirenti - ancora una volta truffaldino.
Secondo i magistrati infatti erano affidate solo a prestanomi le due società editoriali che guidano il gruppo, la Nuova editoriale Oggi (Neo srl) e la Editoriale Ciociaria Oggi (Eco srl). Ma era in realtà il vecchio Ciarrapico «che ne ha mantenuto nel tempo proprietà e ruolo di dominus indiscusso nella gestione e organizzazione della attività editoriale». I prestanome - anche essi indagati - erano «di volta in volta destinati alla rappresentanza legale delle due società e in tale veste hanno sottoscritto le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà presentate alla presidenza del Consiglio dei ministri per ottenere le provvidenze pubbliche».
Controllo costante
Il gip nota che nonostante il vecchio Ciarrapico si sia dichiarato sempre nullatenente, è emerso come «il suo controllo unitario dell’attività editoriale si è concretizzato mediante l’organizzazione delle redazioni, l’assunzione e gestione unitaria del personale, l’impostazionedi una linea editoriale comune, l’esercizio congiunto dell’attività di raccolta pubblicitaria e della gestione del personale e delle risorse, l’utilizzo indistinto delle risorse finanziarie delle due società, in particolare delle provvidenze pubbliche». Le due società editoriali che per avere diritto ai contribuiti dovevano essere del tutto distinte, venivano gestite congiuntamente e tenute contabilmente presso la sede lussemburghese della Banca popolare commercio e Industria Intemational.
Dell’impianto poco consono alla legge si era peraltro accorto anche il figlio di Ciarrapico, che scrisse al padre e ai prestanome un accorato appunto chiedendo di separare meglio le società e poi distruggere quel "pizzino". Chi ha ricevuto si è dimenticato del secondo ordine e oggi il pizzino è uno dei capi di accusa principali nei confronti di Ciarrapico padre. A metterlo nei guai anche la vanità: voleva a tutti i costi il tesserino da pubblicista. Quattro volte ha fatto domanda all’ordine dei giornalisti del Lazio, che l’ha sempre respinta. La quinta volta è ricorso all’ordine nazionale. E per dare forza alla sua tesi
ha rivelato di essere stato lui a scrivere centinaia di editoriali apparsi su quelle testate con pseudonimi fantasiosi: "Ape pontina", "Ape laziale", "Ape ciociara", "Detector" e "Historicus". Anche l’ordine nazionale ha sbattuto la porta in faccia al la sua ambizione: 47 no e 36 si.
Ma quella documentazione è diventata prova contro Ciarrapico.
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