Per chiudere un'epoca un boss non basta

Dalla Rassegna stampa

È morto a casa sua, sia pure agli arresti domiciliari. È riuscito a superare tutte le guerre di mafia dagli anni 50 e tutti i processi più importanti che lo hanno sempre visto sul banco degli imputati. Gerlando Alberti non è mai stato un grande capo ma ha attraversato in prima linea tutta la fase del passaggio della mafia al traffico di droga fin da quando coordinò, nella Napoli dove viveva ancora Lucky Luciano, lo scontro con i marsigliesi.

La french-connection finì nel mare davanti a S.Lucia e Alberti alla testa dei mafiosi, ormai padroni delle rotte del traffico, salì a Milano per occuparsi di piazzare il prodotto. Ad aiutarlo c'era anche Vittorio Mangano, divenuto famoso come stalliere. Una sera degli anni 70 Alberti fu fermato in un'auto insieme a Buscetta e Bada lamenti. Li lasciarono andare. Buscetta finì in Brasile, Badalamenti negli Usa. Di Alberti si persero le tracce fino a metà degli anni 80 quando venne trovato a Trabia, vicino Palermo, mentre sovrintendeva a una raffineria di eroina nuova di zecca. Dopo una detenzione più lunga del solito tornò a far parlare di sé un paio d'anni fa, in una situazione degna di un film di Scorsese. Nel reparto oncologico di un ospedale palermitano partecipava con altri boss vecchi e malati a riunioni, registrate dalla polizia, per organizzare l'ennesimo traffico di droga. Sarebbe consolante pensare che la sua morte chiuda un'epoca. Purtroppo non è così. Certe cose non finiscono da sole.

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