E la Chiesa avverte L'Avana: il popolo è impaziente, riforme subito

Dalla Rassegna stampa

Una sciabolata al regime castrista. L’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Ortega, la affida a Palabra Nueva, la rivista della sua diocesi. Il prelato denuncia la crisi economica che affligge Cuba: «Il nostro Paese è nella situazione più difficile vissuta nel ventunesimo secolo». Tutti i cittadini, ammonisce, «vogliono che i cambiamenti necessari siano fatti rapidamente». Questo desiderio è diventato «una sorta di consenso nazionale, il ritardo sta producendo nel popolo impazienza e disagio». Le critiche, si legge fra le righe, sono ormai diventate un mugugno aperto e pubblico contro una burocrazia «stalinista» e contro l’opprimente scarsa produttività dei lavoratori, in altre parole contro «il tipo di socialismo qui praticato». Il cardinale evoca con molta cautela la recente scomparsa dell’oppositore del castrismo Orlando Zapata Tamayo, lasciato morire dopo 85 giorni di sciopero della fame. «La Chiesa - rivendica - ha fatto storicamente tutto il possibile perché i detenuti politici siano liberati». Il presidente americano Barack Obama, a giudizio dell’arcivescovo, sbaglia l’approccio con l’Avana sull’embargo : «Io sono convinto che prima (di porre condizioni sui diritti umani, ndr) è necessario incontrarsi, parlare e rompere il circolo vizioso nel quale ci troviamo». Il prelato spezza una lancia per le Damas de Blanco, le mogli e le madri dei prigionieri politici alle quali domenica, per la seconda volta, è stato impedito di manifestare: «La storia del nostro popolo non può essere segnata dall’intolleranza verbale e, a volte, anche fisica. Non è questo il momento di attizzare il fuoco».
La crisi economica azzanna l’Isla Granda. Il salario medio è di 20 dollari al mese. L’età della pensione sarà aumentata di cinque anni. In febbraio, il governo ha annunciato poderose sforbiciate all’indennità di disoccupazione, pari al 60 per cento del salario. Raul Castro ha evitato con cura di pronunciare la parola desempleados, disoccupati: a Cuba è all’indice da sempre.
Le liberalizzazioni sono state minime. Le porte degli alberghi riservati agli stranieri si sono spalancate anche per gli autoctoni. I cittadini sono stati autorizzati ad acquistare telefonini e dvd. Le casse dello Stato sono vuote. I turisti, che garantiscono un flusso di quattrini pari al 20 per cento delle entrate pubbliche, sono calati in gennaio del 4,9 per cento. Le rimesse dagli emigrati negli Usa sono in flessione. L’unico flusso rigoglioso è quello del petrolio fornito dal presidente venezuelano Hugo Chavez. Il fratello del «lider maximo» Fidel ha osato privatizzare solo i barbieri e i parrucchieri, che hanno posto per tre clienti al massimo. Pagheranno tasse proporzionate ai guadagni e non saranno più dipendenti dello Stato. Nel codice penale è rimasto in vigore l’arresto preventivo dei cittadini che costituiscono «un pericolo». Possono finire in galera senza aver commesso nessun reato. Da quando Raul Castro è alla guida del Paese la norma è stata applicata quaranta volte. La transizione rischia di essere eterna.

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