Chiarire subito

Non si possono ancora dare per scontate le dimissioni del ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. Ma i tempi per decidere la sua sorte si stanno brutalmente accelerando. A pesare non è solo la saldatura delle opposizioni che con qualche ragione pretendono le sue spiegazioni di fronte al Parlamento.
Il ministro appare sempre più in bilico all’interno della propria maggioranza. Il fatto che ieri sera sia tornato precipitosamente dalla Tunisia, dove doveva rimanere in missione per due giorni, segnala l’aggravamento della sua posizione. Per paradosso, finora il governo di Silvio Berlusconi lo ha appoggiato più o meno tacitamente perché quasi non voleva credere alle accuse nei confronti di Scajola. Se confermate, dimostrerebbero infatti un comportamento non solo illecito ma così imprudente e maldestro da lasciare allibiti. L’unica spiegazione plausibile sarebbe quella di un senso di impunità tale da far dimenticare al ministro, al di là di ogni altra considerazione, qualunque cautela; e da trascinarlo ad acquistare un appartamento con aiuti finanziari al di sotto di ogni sospetto.
Si tratta di una questione che presenta profili politici insidiosi, per il centrodestra. Mette in pericolo non la sua tenuta ma la sua popolarità: bene assai più prezioso in un momento di incertezza economica e di tensioni vistose fra il premier e l’ex alleato Gianfranco Fini. Sembrava che la difesa ad oltranza di Scajola potesse servire a puntellare la tesi del complotto antiberlusconiano. La nettezza e la foga con le quali il ministro continua a respingere le accuse sembravano legittimare una doverosa presunzione di innocenza (confortata anche dal fatto che il ministro finora non è indagato); ed hanno spiegato l’esitazione di Palazzo Chigi, almeno fino a ieri.
Ma nelle ultime ore qualcosa deve avere incrinato la certezza della coalizione di trovarsi di fronte ad un «processo mediatico» senza fondamento. E soprattutto, ha fatto capire che i tempi scelti da Scajola per andare dal magistrato come «persona informata dei fatti» il 14 maggio, e poi in Parlamento, risultano biblici: troppo lunghi rispetto allo stillicidio di notizie che filtrano quotidianamente; e capaci di rivelarsi controproducenti per la credibilità di un governo reduce dalla vittoria alle regionali di fine marzo ma in balìa delle tensioni interne. C’è da sperare che, oltre alle minacce di querele, il ministro offra una versione convincente e decisiva del suo operato: ai propri alleati, in primo luogo. Sta diventando sempre più chiaro che qualche dubbio corposo ormai si è insinuato nello stesso centrodestra.
Il destino politico di Scajola dipende dalla sua residua credibilità nel governo. C’è solo da augurarsi che un suo eventuale passo indietro, spontaneo o forzato, aiuti la verità: senza violare il garantismo,
ma anche senza sgualcirlo, usandolo come alibi per coprire un errore individuale e per non guardare in faccia la realtà.
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