Per chi vota l'estabilishment

Dalla Rassegna stampa

Sembra molto preso da altre faccende (Mediobanca, Generali, banche, poltrone), ma anche "l’establishment non politico" sa che dopo le elezioni regionali possono cambiare molte cose. La definizione è del politologo Alessandro Campi, vicino a Gianfranco Fini, che nota come per la prima volta quelli che altri chiamano "poteri forti" abbiano ceduto alla tentazione del disimpegno. L’unico che ha preso una posizione esplicita sulle Regionali, infatti, è stato finora Luca Cordero di Montezemolo. Sul sito della sua associazione ItaliaFutura, Andrea Romano e Carlo Calenda hanno scritto che un massiccio aumento delle schede bianche "metterebbe in crisi l’immobilismo che ha ormai congelato l’offerta politica dei due schieramenti, rafforzando il rifiuto di uno scontro ormai sterile che paralizza il paese da troppi anni". Un invito, avallato dal presidente di Fiat, a sfiduciare questa politica e, di conseguenza, il governo Berlusconi.
Ma Montezemolo, obietta qualcuno, ormai agisce più da politico che da imprenditore: nella spartizione dei ruoli dentro il lingotto, infatti, Montezemolo è appena entrato nel consiglio di amministrazione della Rcs Quotidiani mentre la Confindustria, di cui è stato presidente fino al 2007, ha giusto ieri incluso nel direttivo John Elkann, vicepresidente e primo azionista del gruppo Fiat.
DESTRA E CEMENTO. Il resto della Confindustria di Emma Marcegaglia sembra già avvitata nei confronti interni per la successione - ancora lontana - o almeno per misurare i rapporti di forza in vista dell’assemblea annuale di fine maggio, a Roma. Incassati dal governo i 420 milioni diecuro concessi per decreto una settimana fa, adesso le partite più interessanti si giocano tutte a livello locale: dal Piemonte dove la costruzione della Tav vale almeno 20 miliardi (entrambi i candidati, Mercedes Bresso del Pd e Roberto Cota della Lega sono favorevoli); in Lombardia Roberto Formigoni, Pdl, confida in una riconferma per gestire il dossier dell’Expo 2015 insieme al comune, da nord a sud ci sono poi in totale 120 miliardi di grandi opere da attuare. E i grandi costruttori hanno le loro preferenze. Ieri il Messaggero, quotidiano del gruppo editoriale che fa capo a Francesco Gaetano Caltagirone, ricorda che mentre Emma Bonino vuole uno sviluppo del Lazio centrato sulla rete ferroviaria, Renata Polverini si affida al cemento: potenziamento dell’aeroporto di Fiumicino (l’affare è in mano all’altro Caltagirone, Francesco Bellavista e coinvolge i Benetton), strade e scalo di Civitavecchia. La preferenza di Caltagirone per la Polverini sostenuta dall’Udc di Pier Ferdinando Casini marito di Azzurra Caltagirone - è temperata però dalla preoccupazione di trovarsi di fronte a un nuovo caso Alemanno: un cambio di colore politico senza che i vincitori abbiano una classe dirigente già pronta per sostituire quella uscente (e la vicenda delle liste Pdl non presentate non lascia ben sperare). Le prospettive dell’altro grande affare, quello delle centrali nucleari che interessa all’Enel ma non solo, saranno più chiare a urne chiuse: finché c’è la campagna elettorale anche gli ex nuclearisti sono diventati fieri oppositori delle centrali nella propria regione.
Anche Luca Zaia, praticamente certo di conquistare la poltrona di governatore del Veneto, è diventato un nemico dell’atomo nonostante il Polesine sia una delle zone più papabili per le centrali nucleari. Si vedrà dopo la vittoria cosa pensa davvero.
VERDE CREDITO. Per ora è chiara la sua posizione sul settore bancario: vigilare "sui soldi dei veneti". Che, tradotto, significa che la Lega vuole contare sempre di più dentro la grande finanza. In particolare in Unicredit: con Zaia alla guida della regione, i sindaci e i presidenti di provincia leghisti che nominano i consiglieri di amministrazione delle fondazioni azioniste di Unicredit avranno finalmente una solida sponda a cui appoggiare quella che è stata definita la "scalata padana" al potere bancario. Le fondazioni non sono diretta emanazione del partito di governo negli enti locali, ma un trionfo leghista significherà la nascita di un nuovo blocco di influenza dentro la seconda banca italiana. E Alessandro Profumo, amministratore delegato sempre più in bilico, non spera certo che la vittoria di Zaia sia dilagante, perché di tutto ha bisogno tranne che le fondazioni gli impongano una politica territoriale (e magari un direttore generale) vecchio stile che è l’opposto dell’apertura internazionale che persegue da anni.
Anche a Torino sono preoccupati per l’avanzata della Lega. Se il Piemonte finirà a Roberto Cota, capogruppo leghista alla Camera, sarà la fine del modello di sviluppo che negli ultimi sei anni si è costruito intorno alla rinascita della Fiat: amministratori locali di centrosinistra da un lato (Mercedes Bresso e soprattutto il sindaco torinese Sergio Chiamparino) e l’amministratore delegato Sergio Marchionne dall’altra. Cota ha usato toni molto prudenti nel mettere le basi per un rapporto con il Lingotto: ha proposto di riportare il salone dell’auto a Torino e ha spiegato che il successo recente della Fiat è dovuto al "rilancio della qualità" e non agli incentivi pubblici. Ma la difesa delle piccole imprese e il localismo che hanno caratterizzato la strategia anti-crisi della Lega possono causare problemi a un gruppo che è sempre più proiettato verso Detroit, affidato al rilancio della Chrysler. Se vincesse la Bresso, tutto sarebbe più semplice.

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