Chi l'ha ridotto così?

Dalla Rassegna stampa

Verità e giustizia. E` questo e nulla più quello che chiedono i familiari di Stefano Cucchi, il 31 enne morto all`alba del 23 ottobre scorso nel reparto detentivo dell`ospedale Pertini di Roma, dove era stato ricoverato sei giorni prima in circostanze ancora da chiarire. L`unica certezza sono le gravi lesioni e i traumi sul corpo del giovane, che emergono con drammatica eloquenza dalle foto scattate dall`agenzia funebre, rese pubbliche ieri dalla famiglia Cucchi e dall`avvocato Fabio Anselmo (lo stesso del caso di Federico Aldrovandi) in una conferenza stampa tenuta con le associazioni A buon Diritto e Antigone, che nei giorni corsi avevano sollevato il caso. “Una scelta delicata e sofferta", ha spiegato Luigi Manconi, presidente di A buon Diritto, perché quelle immagini scioccanti "parlano da sole e sono una rappresentazione efficace del calvario patito da Stefano". Il padre lo descrive come "ragazzo pieno di vita e di aspirazioni", aveva iniziato con entusiasmo la professione di geometra, "in cui riponeva tante aspettative", "come tanti giovani era incappato nel problema della droga, ma era entrato spontaneamente in comunità uscendone dopo tre anni con successo, conscio dei pericoli sempre incombenti per chi ha subito esperienze di questo tipo". Il travaglio del giovane inizia la notte tra il 15 e 16 ottobre, quando intorno alle ore 23.30 viene fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti, perché trovato in possesso di 20 grammi di stupefacenti, tra marijuana, cocaina e due pasticche ("ecstasy" secondo indiscrezioni filtrate da ambienti delle forze dell`ordine, ma che il padre Giovanni e la sorella Ilaria spiegheranno essere "Rivotril", un farmaco salvavita contro l`epilessia, regolarmente prescritto). Poca roba, insomma, come - secondo la ricostruzione dei familiari - gli stessi carabinieri ammettono per tranquillizzare i genitori, mentre perquisiscono la stanza di Stefano senza trovare nulla. Quando Stefano esce di casa, intorno all`una e trenta del mattino, è in buona salute e cammina sulle proprie gambe, eppure non vi farà più ritorno. Il mattino seguente, al processo per direttissima, il padre nota che il suo volto è molto gonfio, "in netto contrasto con la sua magrezza" (al momento dell`arresto Stefano pesa 43 chili), e presenta evidenti lividi intorno agli occhi. Dopo la sentenza di rinvio Stefano Cucchi viene visitato per bene tre volte. Prima presso l`ambulatorio del palazzo di Giustizia, dove gli vengono riscontrate "lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente", poi al carcere di Regina Coeli, dove i carabinieri lo affidano alla custodia della Polizia penitenziaria. Qui la visita medica evidenzia la presenza di "ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione". Infine viene trasportato, per ulteriori controlli, all`ospedale Fatebenefratelli dove gli viene diagnosticata "la frattura corpo vertebrale L3 dell`emisoma sinistra e la frattura della vertebra coccigea". Il giorno dopo, sabato 17, in seguito a una nuova visita medica in carcere, viene disposto il trasferimento di Stefano prima al Fatebenefratelli, poi al Sandro Pertini, intorno alle 13. La famiglia però viene avvisata del ricovero solo in serata. Qui inizia la via Crucis del papà Giovanni, della mamma Rita e della sorella Ilaria, che da questo momento in poi saranno rimbalzati da un`autorità all`altra, alla ricerca disperata di informazioni sulle condizioni del ragazzo. Per tre giorni alla famiglia viene impedito sia di vedere Stefano che di parlare con i medici, perché per le visite e i colloqui in un reparto detentivo è necessaria l`autorizzazione del carcere. Tuttavia una sovrintendente dell`ospedale li rassicura: "Il ragazzo sta tranquillo" e li invita a tornare l`indomani quando l`autorizzazione sarebbe sicuramente arrivata. Solo martedì 20 ottobre, davanti all`ennesima porta chiusa, il piantone spiega ai familiari di Stefano che sono loro a dover chiedere il permesso per il colloquio al Giudice del Tribunale a Piazzale Clodio e, una volta ottenuto, devono farlo vistare a Regina Coeli. La trafila è lunga e mentre Giovanni Cucchi è sul punto di portarla a termine, Stefano muore. Sono le 6.20 di mercoledì 23: "presunta morte naturale", si legge nella certificazione medica. La madre viene a sapere della morte quando un carabiniere le notifica a casa l`autorizzazione del pm alla nomina di un consulente di parte. All`obitorio i genitori si trovano davanti a un volto irriconoscibile: "devastato, quasi completamente tumefatto, l`occhio destro rientrato a fondo nell`orbita, l`arcata sopraccigliare sinistra gonfia in modo abnorme, la mascella destra con un solco verticale, a segnalare una frattura, la dentatura rovinata". Stefano, faranno sapere, adesso pesa 37 chili. "Perché al momento dell`arresto non è stato chiamato il suo avvocato di fiducia? Com`è stato possibile che Stefano abbia subito le lesioni? Chi e quando gliel`ha prodotte? Perché non è stato consentito il colloquio con i medici? Perché è stata consentita, in sei giorni di ricovero una tale debilitazione fisica?", questa alcuni degli interrogativi che, con la voce rotta dalla commozione, Giovanni Cucchi ha rivolto alle strutture carcerarie e ospedaliere, chiedendo chiarezza sulle circostanze del decesso anche il ministro della Difesa La Russa: "Mio figlio in quei momenti era sotto la tutela dello Stato e dunque questa vicenda non può passare sotto silenzio. E dato che e` stato preso in consegna dai carabinieri chiediamo chiarezza al ministro della Difesa, Ignazio La Russa". Durante il question time di mercoledì il ministro della Giustizia Alfano aveva dichiarato di aver disposto accertamenti sulla morte del giovane, affermando tra l`altro che il medico di Regina Coeli avrebbe "dato atto di quanto riferito dal detenuto, cioè di una caduta accidentale dalle scale". Indagini sono state avviate dalla Procura della Repubblica, alla quale il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha annunciato un esposto. Il direttore del Dap Franco Tonta ha fatto sapere che, quando possibile, aprirà anche un`inchiesta amministrativa. Un`inchiesta è stata inoltre annunciata dall`assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri "per verificare eventuali responsabilità dei medici del reparto detentivo dell`ospedale Pertini". L`avvocato Anselmo per ora esclude una propria denuncia: "l`atto di morte è stato acquisito dal pm - ha spiegato - per cui non abbiamo in mano nulla, se non le foto scattate dall`agenzia funebre e un appunto del medico legale. Non sono stati riscontrati traumi lesivi, a quanto appare, che possono averne causato la morte. Si parla di ecchimosi ed escoriazioni e sangue nella vescica, per cui è difficile sapere quando e soprattutto come è morto". Sul caso sono già state presentate diverse interrogazioni in ambo in rami del Parlamento: l`impegno è bipartisan come dimostrato dai numerosi parlamentari che ieri sono intervenuti alla conferenza stampa, tra cui le radicali elette nel Pd Bonino e Rita Bernardini, i democratici Casson e Della Seta, Farina e Perina del Pdl. In gioco, hanno avvertito Emma Bonino e Flavia Perina, c`è il principio di legalità e la credibilità delle istituzioni, perché "non è uno stato di diritto quello in cui un uomo entra in carcere sulle proprie gambe e ne esce cadavere".

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