Che idea dividere il Pd

L'ultima trovata è uscire dal Pd per tornarci vincitore, o magari inventarsi qualcosa che non sia più il Pd, giudicato già vecchio e consunto nonostante la giovane età. Intendiamoci, per ora sono solo fantasie, chiacchiere rilanciate da quella fabbrica di voci incontrollate che è la stessa politica, ma che l'esperienza ci ha insegnato a cogliere perché possono nascondere significativi brandelli di verità.
Si sussurra dunque a Montecitorio che Walter Veltroni avrebbe valutato con i suoi fedelissimi un'ipotesi alla quale sta pensando da quando il Pd non gli sembra più il suo Pd: formare alla Camera un drappello parlamentare del tutto autonomo dal partito. La stessa cosa, udite udite, pensa Sergio Chiamparino - il "leghista gentile", secondo l'azzeccata definizione del sociologo Luca Ricolfi - che la sta suggerendo a parlamentari amici, non si sa se d'intesa con Walter o no. I sospetti aumentano se si tiene conto dell'iniziativa annunciata dai due - ai quali si è aggiunto il redivivo Arturo Parisi, il più prodiano dei prodiani - e della stesura di un documento che invoca - come si suol dire - il ritorno allo spirito originario del Pd: le firme aumentano e tutto il fronte cattolico del Pd è in agitazione. Voci o non voci, qualcosa si muove.
La spiegazione di tutto questo chiacchiericcio starebbe nel meccanismo delle primarie di coalizione che dovrebbero indicare il candidato leader dei centrosinistra da opporre a Berlusconi & C. in caso di elezioni. Il regolamento, scritto peraltro dai più stretti collaboratori di Veltroni quando questi era il leader del partito, precisa in proposito che il candidato che concorre alle primarie per il Pd è lo stesso segretario in carica. Insomma, se le cose dovessero restare così come sono fino al voto, potrebbero misurarsi l'uno contro l'altro Pierluigi Bersani, Emma Bonino e Tonino Di Pietro. Ma se l'alleanza dovesse allargarsi ad altre formazioni come Sinistra e Libertà, ecco che alla rosa degli sfidanti si aggiungerebbe l'insidioso Nichi Vendola. Per non dire quello che succederebbe se andasse in porto l'idea, cara a Bersani e un po' meno all'interessato, di un Grande Ulivo allargato anche all'Udc dell'inquieto Pier Ferdinando Casini.
Dunque, riassumendo: Bersani, Bonino, Di Pietro, Vendola e magari perfino Casini che si contendono la candidatura a premier. Con buona pace di Chiamparino, Veltroni, Massimo Cacciari, Nicola Zingaretti, Matteo Renzi e tutte le altre scalpitanti seconde linee ansiose di mettere in discussione l'attuale leadership e magari partecipare alla corsa. Niente da fare. A meno che... A meno che chi fosse interessato alla sfida uscisse per esempio dal partito formando un gruppetto parlamentare e una lista pronta a esprimere un altro candidato leader, scappatoia non esclusa dallo statuto. E il gioco è fatto.
Solo fantasie, per ora, s'è detto, ma che forse nascondono fratture più profonde, a cominciare dai diversi punti di vista su possibili future alleanze e quindi su programmi, proposte, parole d'ordine. Si è detto di Bersani e della sua idea di super alleanza che piace anche a D'Alema: del resto, il centro sinistra ha vinto solo quando si è trasformato in una coalizione ampia capace di imbarcare schegge di centro (Lamberto Dini prima, Clemente Mastella poi).
Nel frattempo Di Pietro, agitatissimo da quando Gianfranco Fini lo sfida sui temi della legalità e gli contende un elettorato altrimenti astensionista, alza vieppiù i toni per farsi ascoltare rendendo così ancora più difficile il dialogo con l'ala moderata del centro sinistra e pressoché impossibile l'abbraccio con Casini. Vendola, invece, che sta girando l'Italia raccogliendo consensi da star, allarma assai i suoi possibili alleati, ma intanto va ripetendo che un Grande Ulivo non serve.
In quanto ai rapporti interni, l'idea di Bersani di aprire le liste del Pd a candidature di comunisti duri e puri come Ferrero & Diliberto ha mandato su tutte le furie Veltroni e forse è all'origine delle ciacole su una scissioncina. E non è certo un mistero che tra Casini e Di Pietro, un cattolico come Enrico Letta butterebbe giù dalla torre sicuramente l'ex pm. Alla faccia del Grande Ulivo sognato dal suo amico Bersani.
Che confusione. Con un Pd carico come lo era al debutto nel 2007, sarebbe stata una passeggiata approfittare dell'incontenibile crisi della destra. E invece no, timori, timidezze, ambiguità tengono ingabbiati i leader del partito impedendo loro uno scatto d'orgoglio, la forza di una sfida, la convinzione di una leadership. Frenano la capacità di sognare. E sì, per quanto possa sembrare strano, in politica i sogni contano più della stanca ingegneria delle alleanze.
© 2010 L'Espresso. Tutti i diritti riservati
SEGUICI
SU
FACEBOOK
SU