Che fine ha fatto l'emergenza nelle carceri?

Dalla Rassegna stampa

Non se ne parla, non se ne scrive più. Eppure fino a qualche settimana fa era un'emergenza Ricordate? "Carceri al collasso. L'Italia chiama la UE", è il titolo dell"Avvenire" del 27 agosto scorso. E lo stesso giorno "Liberazione": "Presentato dossier sulla crisi nelle carceri. Oggi peggio del fascismo". Il quotidiano dei Vescovi e il giornale di Rifondazione Comunista che lanciano lo stesso, accoratissimo allarme. Non un'invenzione radicale, dunque. Ancora prima, il 14 febbraio 2010, sempre "l'Avvenire" titola: “Troppi stranieri in cella. Anche le carceri minorili ora rischiano il collasso”. Il nostro sistema penitenziario passa da un'emergenza all'altra non c'è solo il dramma del sovraffollamento che riguarda i soggetti adulti. Anche nelle strutture pensate per i minori mancano risorse e personale in grado di farsi carico di un percorso che resta incentrato sul recupero della persona. E ora? La meritoria associazione "Ristretti orizzonti", per esempio, ci ricorda che attualmente i detenuti sono oltre 67.500; la capienza regolamentare delle carceri e di poco più di 45mila posti. Il decreto svuota-carceri al 28 febbraio, ha consento ad appena 1.368 di beneficiarne e uscire. Sul totale della popolazione detenuta, di cui 2.951 sono donne, 37.310 sono i condannati, 28.478 gli imputati (di cui "14388 in attesa di primo giudizio), 1.714 gli internati. Gli stranieri sono 24.865: il 21% e di origine marocchina, il 14% romena, il 12% tunisina, l'11% albanese, il 5% nigeriana. C'è poi una situazione specifica, quella degli ospedali psichiatrici. Sono 1.535 (1.433 uomini e 102 donne) i detenuti nei sei OPG (Aversa, Napoli Sant'Eframo, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino). Un tempo chiamati "manicomi criminali", gli OPG sono strutture dipendenti dal ministero della Giustizia dove si trovano 1.535 detenuti contro una capienza regolamentare di 1.322 posti e un limite tollerabile di 1.684. L'internamento è una misura di sicurezza di tipo detentivo prevista dal nostro ordinamento giuridico. La quasi totalità (1.305) non è composta da detenuti in attesa di giudizio ne da condannati in via definita, bensì da internati. L'internato non deve scontare una pena relativa ad un reato commesso, ma si trova in un Opg in ragione di una valutazione di pericolosità sociale da parte di un perito o di un esperto, comunque sempre su decisione del giudice. Oltre ai 1.535 in OPG, altri 484 internati sono invece sparsi in case lavoro o case di custodia e cura perché soggetti a misure di sicurezza in quanto per lo più considerati delinquenti abituali o professionali. La preoccupazione per quanto accade nel "pianeta carcere" è condivisa ed è espressa anche dall'Unione delle Camere Penali. "Ancora una volta assistiamo a gravissimi episodi di lesioni dei fondamentali diritti delle persone ristrette nelle carceri italiane, tanto da dover constatare il mantenimento di restrizioni in carcere di detenuti gravemente malati, fino alla loro morte", dicono gli avvocati penalisti, che denunciano da tempo, inascoltati, i troppi casi di violazioni del diritto alla salute e alla integrità fisica. Al drammatico bollettino delle morti da suicidio che si consumano nelle carceri del nostro Paese con tragica e inarrestabile frequenza, si aggiungono nelle ultime ore le segnalazioni dell'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere Penali, relative a casi di gravi violazioni del diritto alla salute: nel carcere di Sollicciano è deceduto un uomo di 48 anni alla sua prima esperienza carceraria, reduce da ricovero ospedaliero per problemi polmonari. Non ricevendo più notizie, il difensore si era recato in carcere e l'aveva trovato su una sedia a rotelle a causa della perdita di funzionalità d'un polmone che gli aveva anche impedito di telefonare ai familiari. Lo stesso giorno, a distanza di poche ore, il difensore ha ricevuto notizia della morte del detenuto dalla stessa Casa Circondariale. Altra segnalazione riferisce di un detenuto colpito da ictus cerebrale e ristretto nel carcere di Regina Coeli, nonostante sia stata accertata con perizia l'incompatibilità con il regime carcerario ed il difensore abbia indicato diverse strutture ospedaliere attrezzate per la terapia intensiva disponibili ad accoglierlo. Viceversa, il detenuto rimane in carcere, con grave rischio per la vita, in un rimpallo tra amministrazione giudiziaria che ne dispone il ricovero all'Ospedale Pertini, sebbene ne sia nata l'inadeguatezza, e l'amministrazione penitenziaria che rimane inerte e muta. I casi segnalati, pur nella loro diversa gravità, costituiscono un esempio eloquente di come vengono gestiti i problemi di salute delle persone ristrette negli istituti penitenziari italiani e, dunque, del mancato rispetto dei diritti fondamentali di chi e privato della libertà, con il concorso di una magistratura sempre incline a considerare il carcere come la misura di ordinaria applicazione ed a sopravvalutare presunte esigenze di tutela sociale a scapito della previsione costituzionale del diritto alla salute. L'Unione delle Camere Penali Italiane denuncia, "per l'ennesima volta, le responsabilità diffuse delle Istituzioni, incapaci di garantire la seppur minima tutela delle persone detenute ed abbandonate a se stesse, in violazione dei più elementari diritti posti a tutela della dignità prima ancora della salute. Evidentemente, ciò che per l'Avvocatura penalista è doveroso non lo è altrettanto per i responsabili della incolumità del detenuto, i quali assistono incuranti alle tragedie che si consumano con allarmante frequenza ed accettano che, in luogo di una persona, alla società ed alla famiglia venga restituito un cadavere. Contro tutto questo si leva forte la protesta degli avvocati penalisti che, più di altri vivono l'angoscia dei detenuti più deboli e dei loro familiari". Alcuni casi paradigmatici: Sassari, il cui penitenziario è al collasso. Dice l'avvocato Giuseppe Conti, avvocato sassarese e vice presidente dell'UCPI: "Non è possibile pensare che sei persone possano vivere, mangiare e dormire nella stessa cella, che i detenuti debbano fare i turni per scendere dalla branda e sgranchirsi le gambe. La struttura è fatiscente e le condizioni di vita sono insopportabili". Il problema del sovraffollamento esiste, dice Conti, "ma non può essere risolto con la costruzione di altre strutture. Il fatto è che in carcere dovrebbero entrarci meno persone.
 
Bisognerebbe studiare sanzioni alternative alla detenzione, almeno per i reati meno gravi". Calabria: nelle 12 carceri di questa regione sono stipati circa 3.200 detenuti per 1.900 posti disponibili. "Questo pesante sovraffollamento" racconta Donato Capace, segretario generale del Sappe, "fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. La mia presenza qui vuole essere testimonianza di vicinanza del primo sindacato della polizia penitenziaria ai disagi dei colleghi della Calabria. L'emergenza sovraffollamento in Calabria ha raggiunto cifre allarmanti. Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di polizia penitenziaria. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della polizia penitenziaria in servizio negli istituti di pena della Calabria per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia". La situazione di Messina, nelle parole del segretario della Uil-Pa Penitenziari Eugenia Sarno: "Quello che ho potuto riscontrare va ben oltre gli allarmi che nel tempo sono stati lanciati dal personale. Vi sono emergenze in atto che riguardano la carenza di personale, il grave sovraffollamento e per il concreto rischio di carattere sanitario. Voglio sperare che prima che accada l'irreparabile l'Amministrazione Penitenziaria metta nell'agenda la necessità, urgente e non rinviabile, di procedere a finanziare opere di ristrutturazione e, ancor più, ad assegnare personale. Non è eretico affermare che allo stato attuale Messina rappresenti la situazione più allarmante per il sistema penitenziario, già traballante, siciliano. É inimmaginabile che degenti ricoverati in qualsiasi struttura sanitaria possano subire le condizioni che ho potuto constatare a Messina. Non solo ambienti scarsamente puliti, ai limiti nell'inigenicità, per carenza quanto perché i degenti del centro clinico di Messina sono allocati in celle anguste con letti a castello fino a 4 piani. Non solo. I degenti sono ristretti insieme a detenuti comuni che sono allocati negli ambienti di ospedalizzazione per mancanza di posti. A fronte di una disponibilità reale di 162 posti detentivi erano presenti 393 detenuti (343 uomini e 50 donne). I detenuti in attesa di primo giudizio assommano a 141, 60 gli appellanti, 14 i ricorrenti e 128 i condannati in via definitiva". Non se ne parla, non se ne scrive, ma l'emergenza, come si vede, e tutt'altro che superata e risolta.

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