E il cellulare di Cicchitto diventò un cerino acceso

Dalla Rassegna stampa

L’immagine della crisi di nervi della maggioranza l’ha data ieri Cicchitto. Sceso in sala stampa per una dichiarazione preannunciata poco prima e molto attesa (era appena terminato ad Arcore il vertice tra Bossi e Berlusconi), il capogruppo tira dritto. Schiva le telecamere. Si apparta. Impugna il telefonino e comincia a parlare. I cronisti lo osservano. Nubi da via Bellerio dove è in corso il vertice leghista? Chissà. Ma è come se quel cellulare cambiasse forma. Si assottiglia e si allunga. Diventa un cerino. Quel cerino che da tempo nella maggioranza si passano di mano in mano. La novità è che Cicchitto sembra ormai rassegnato all’idea di potersi bruciare le dita. Perché, una volta terminata la chiamata, dà forfait. Non fa più la preannunciata dichiarazione. Si congeda dai perplessi cronisti con un laconico «arrivederci». Cosa è successo? Perché un politico esperto come Cicchitto si è esposto a una così goffa scenetta? Una spiegazione arriva dai finiani. La novità, a quanto pare, è che la Lega è molto più impegnata di quanto lasci intendere la fredda nota di via Bellerio nel tentativo di mantenere il governo in vita. Si viene così a sapere che si è fatta viva con Fini poco dopo la conclusione dell’intervento di Perugia. Con ben due telefonate, una di Maroni e l’altra di Calderoli. La verità sembra essere che gli uomini del Carroccio vogliono portare a casa il federalismo e per questo cercano di evitare la caduta del governo, almeno fino a gennaio. Anche se i maligni banalizzano: ai lumbard non dispiace fare i ministri. Sia quel che sia, stanno tentando di convincere il Cavaliere a vedere le carte di Fini. Passano pochi minuti dalla ritirata di Cicchitto ed arriva la nota ufficiale della Lega, firmata da Bricolo e Reguzzoni, non proprio gli esponenti di maggior peso della delegazione che ha reso visita al premier. Dice che Bossi e Berlusconi andranno in Veneto e che sono in «piena sintonia sui problemi concreti del Paese». Su Fini nemmeno un accenno, come se 24 ore prima non fosse successo nulla. Nel frattempo il percorso dell’esecutivo in Parlamento diventa sempre più un campo minato. Non c’è solo la mozione di sfiducia su Bondi. Oggi un emendamento del radicale Mecacci sull’accordo Italia-Libia potrebbe avere il sì dei finiani. E a Palazzo Chigi di certo non faranno festa.

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