In cella come all'inferno e loro pensano al processo breve

Dalla Rassegna stampa

Si può provare a immaginare la scena. In una stanzuccia di pochi metri quadrati sono ammassate alcune persone, ci vivono in promiscuità per molte ore del giorno.

Per qualche ora possono andare a prendere una boccata d'aria e fare due passi in circolo in un cortile. Quello è il momento buono. Bisogna aspettare quell'ora d'aria; o, magari, aspettare che sia scesa la notte, tutti i compagni di stanza dormono e fingere di avere un attacco di diarrea e andare nel piccolo locale che fa da bagno, separato dalla stanza da un telo di plastica. In ogni modo, bisogna pensarci, cogliere il momento buono, aspettare l'occasione giusta. Poi bisogna prepararsi per tempo.

Una corda? Trovarla. Tocca arrangiarsi con quello che c'è. Un lenzuolo. Bisogna ricavarne delle strisce, annodarle. E poi, dove far leva, dove appendersi? Ecco, quel tubo, quella sbarra. Sì, quella tiene, può andar bene. Finalmente solo! Ecco la corda, annodarla in fretta, vedi mai che ci sia un controllo... fatto il nodo, fissiamo l'estremità alla sbarra... ecco, è fatta, un salto e buonanotte, alla faccia di chi dice no all'amnistia, io me la prendo, la mia amnistia definitiva e irrevocabile...

Nell'ultima settimana non ci hanno «ripensato» in tre, forse quattro. Due detenuti sono morti, gli altri sono in gravissime condizioni.

Dall'inizio dell'anno non ci hanno «ripensato» in quindici, che tanti sono i detenuti il cui suicidio è stato accertato. In totale sono morti in trentasette. Diciassette sono deceduti, dicono i referti «per cause naturali»; ma possono esistere «cause naturali» in carcere, quando lo Stato si fa garante dell'incolumità fisica e psichica delle persone che vengono private della loro libertà? Altri sette detenuti sono morti per «cause da accertare».

Non solo: in questa che Marco Pannella chiama nucleo consistente di shoah cominciamo a trovare anche gli agenti della polizia penitenziaria: negli ultimi giorni in due si sono tolti la vita; ben diciotto negli ultimi cinque anni...

Nelle carceri, gli agenti sono costretti a turni massacranti, e i loro sindacati, unanimi, avvertono che in queste condizioni non sono in grado di assicurare alcun tipo di sicurezza; occorrono educatori e assistenti sociali per garantire la funzione rieducativa della pena prevista dall'art. 27 della Costituzione.

Quello del ministro della Giustizia è un bilancio a dir poco fallimentare. Annuncia riforme «epocali» che di epocale hanno solo il tentativo di ingannare l'opinione pubblica, ma i fatti dicono che non si è saputo e voluto fare nulla.

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