Il Cavaliere in camicia verde

Dalla Rassegna stampa

L’ultima delle metamorfosi sarà Berlusconi in camicia verde? Quando Bossi richiama il Pdl a rispettare il patto da lui stipulato con il Cavaliere, secondo cui il Veneto spetta alla Lega, l’astuto senatur sa di avere stretto nell’angolo il suo interlocutore. Al quale risulterà arduo divincolarsi. Per Bossi è maturato il tempo di passare all’incasso. Il suo schema implacabile contempla che sia ridisegnata la geografia politica della destra italiana, e dunque che Berlusconi gli rechi in dote, entro la fine della legislatura, la trasformazione della Lega in partito conservatore "bavarese" con delega sull’intero territorio settentrionale. Poco importa che il Pdl detenga ancor oggi percentuali di voto più elevate della Lega in Lombardia, Veneto e Piemonte. Perché l’offensiva delle camicie verdi ha già trascinato il Capo del centrodestra –per vocazione o per necessità – a far sue le pulsioni dell’antipolitica, della xenofobia e del plebiscito anticostituzionale. Bisognoso com’è di nutrire la sua leadership di nuova energia, affascinato dal "ritorno al popolo" con cui lo circuisce Bossi, ormai Berlusconi sembra pronto a rinunciare definitivamente all’abito moderato del Partito Popolare Europeo.
Il braccio di ferro tra Pdl e Lega sui governatori di Lombardia, Veneto e Piemonte durerà probabilmente ancora diverse settimane. Scommettere sul suo esito sarebbe un azzardo. Ma non si può affatto escludere che alla fine Berlusconi scelga di concedere alla Lega il conseguimento di un traguardo simbolico, per il Carroccio addirittura storico, eppure dal suo punto di vista meno costoso di altri: la presidenza della Regione Lombardia. Piuttosto che concedere una doppia presidenza leghista (in Veneto e in Piemonte), insopportabile a molte componenti del Pdl, o peggio ancora di subire una scissione localista veneta per opera di un "fedelissimo" come Giancarlo Galan, perché il Cavaliere non dovrebbe sacrificare Roberto Formigoni? Magari promettendo altre compensazioni alla galassia lombarda di Comunione e Liberazione, nella quale stanno emergendo nuove figure di spicco come Maurizio Lupi. Una spinta ulteriore potrebbe giungere dall’inchiesta giudiziaria che ha portato in carcere Giuseppe Grossi, imprenditore molto influente nel sistema di potere autonomo dei ciellini.
Nella deplorevole rissa che coinvolge da più di un anno il centrodestra milanese, intorno al miraggio affaristico dell’Expò, Berlusconi si è mosso con crescente difficoltà. L’indisciplina dei suoi maggiorenti che hanno deciso di giocare in proprio, da Tremonti alla Moratti, da La Russa a Formigoni, gli risulta deprimente se paragonato al lavorio compatto dei leghisti: un attivismo tanto clamoroso nella propaganda sui temi della sicurezza, quanto silenzioso nel mondo delle imprese.
C’è una fotografia del 14 giugno scorso che ben rappresenta un destino politico di sottomissione: Guido Podestà, il coordinatore lombardo del Pdl (bisognoso di voti al ballottaggio per la Provincia di Milano), va al raduno leghista di Pontida e si fa immortalare col fazzoletto verde al collo. Sorridente, gli cinge le spalle Matteo Salvini, l’ultras del Carroccio, con indosso la t-shirt "Padania is not Italy". Non ha invece rilievo politico, ma significherà pur qualcosa, la premura con cui Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Mediobanca, il 2 ottobre si è presentato al Castello Sforzesco per la prima del film "Barbarossa" indossando la cravatta verde d’ordinanza. Perché stupirsi? Il responsabile economico della Lega, Giancarlo Giorgetti, viene ricercato come interlocutore politico fra i più discreti e competenti da molti imprenditori del Nord.
E’ evidente che per Bossi la presidenza della Regione Lombardia costituirebbe la prima scelta, il coronamento di un sogno più che ventennale. Escludo che si accontenterebbe di una candidatura in Piemonte. Dubito altresì che possa bastargli il Veneto nel quale egli si sente tuttora più ospite che padrone di casa. Ma la vera sfida che il leghismo conta di vincere tra il 2009 e il 2010, abbracciando un Berlusconi populista e impaurito cui è venuto meno il salvacondotto del Lodo Alfano, implica un travaso di elettorato tale da modificare i connotati del centrodestra italiano. Dalla sua Bossi può farsi forza dei ripetuti fallimenti cui è andato incontro finora chiunque ha tentato di dare vita a partiti federali, territoriali, fondati su una sovranità locale, in alternativa al modello leghista. Ha ragione Galan quando rileva che la Lega, lungi dall’essere federalista, riproduce la struttura gerarchica di un partito centralista e ideologico, più simile al vecchio Partito comunista italiano che alla Cdu bavarese. Ma nessuno ha ancora spiegato agli elettori perché servirebbe un nuovo partito del territorio diverso dalla Lega stessa. La quale procede, con il supporto decisivo dei ministri romani, in un disegno sistematico di conquista delle casematte del potere nordista. Dopo i sindaci, i presidenti di provincia, la società aeroportuale milanese, giunge l’ora dei governatori regionali. Ma ben presto toccherà alle Fondazioni bancarie, alle aziende energetiche, alle Fiere.
Così l’eredità politica, culturale e di potere del berlusconismo nel Nord Italia pare destinata a essere riscossa dagli uomini di Bossi. Si presentano come gli alleati più fedeli del Cavaliere, lo incitano a tagliare i ponti con le istituzioni repubblicane di cui non ha il controllo, e intanto si preparano a spolparselo fino all’ultimo osso.

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