Cause veloci e ammortizzatori Le ipotesi di sindacati e imprese

Dalla Rassegna stampa

Ufficialmente nessuno vuole parlare di modifiche all'articolo 18, ma tutti i protagonisti della trattativa sanno che la riforma del mercato del lavoro dovrà intervenire anche su quello, cioè sulle norme che regolano i licenziamenti. Lo sa il governo, che intende rispondere, al massimo entro marzo, alle sollecitazioni che arrivano da Bruxelles; lo sanno le imprese, anche se parte di esse non ritiene questa una priorità; e infine lo sa il sindacato che per questo, dietro l'opposizione ufficiale ad ogni modifica, sta pensando a cosa proporre per evitare interventi pesanti calati dall'alto. Come spesso accade in questi casi, è la Cisl che si fa avanti. Dietro l'apertura a una «robusta manutenzione» dell'articolo 18, contenuta nell'intervista del leader Raffaele Bonanni pubblicata ieri dal Sole 24 Ore, si nascondono un paio di proposte che il vicesegretario della Cisl, Giorgio Santini, sta mettendo a punto e che anche tra i tecnici delle associazioni delle imprese vengono guardate con un qualche interesse.

La prima prevede di ricorrere all'articolo 70o del Codice di procedura civile per le cause in materia di licenziamento, cioè alla procedura d'urgenza, puntando a ottenere la sentenza di primo grado entro sei mesi. Ovviamente non basta dirlo, ma bisogna renderlo effettivo anche attraverso la riorganizzazione degli uffici giudiziari. La seconda proposta mira a estendere la procedura dei licenziamenti collettivi per motivi economici, cioè la legge 223 applicata nelle aziende con più di 15 dipendenti per i licenziamenti che coinvolgano almeno 5 persone, anche ai licenziamenti individuali. In questo modo al lavoratore spetterebbe l'indennità di mobilità per due anni, durante in quali trovare una nuova occupazione con l'aiuto dei servizi per l'impiego opportunamente rafforzati.

Naturalmente sono ipotesi tutte da esplorare, con diversi problemi da risolvere, sia economici (le risorse) sia giuridici. I tecnici del fronte imprenditoriale, per esempio, obiettano che bisognerebbe comunque evitare che il lavoratore possa poi ricorrere all'articolo 18, che dovrebbe quindi restare a tutela dei soli licenziamenti discriminatori. Ma fin qui il sindacato non arriva e la Cgil e mezzo Pd sono pronti a scendere in piazza. Ma ciò che conta, in questa fase, è che, dietro le quinte, le parti abbiano cominciato a sondare il terreno anche con ipotesi sul tema dei licenziamenti. Poi tutti sanno che se si arriverà vicini all'accordo questo punto, il più delicato della trattativa, sarà lasciato per ultimo.

Domani i tecnici di Cgil, Cisl e Uil si incontreranno tra di loro e la stessa cosa faranno quelli della Confindustria, di Rete Imprese Italia, dell'Alleanza delle cooperative, dell'Abi (banche) e dell'Ania (assicurazioni). Sindacati da una parte e imprese dall'altra metteranno a punto le rispettive proposte in vista di mercoledì, quando i vertici di tutte le organizzazioni siederanno attorno a uno stesso tavolo per misurare le distanze. Un nuovo incontro col governo è invece previsto per la fine della settimana o l'inizio della prossima.

Nell'ultima riunione a Palazzo Chigi, la settimana scorsa, sono stati fatti alcuni passi importanti. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha assicurato che il sistema attuale degli ammortizzatori sociali verrà garantito in questa fase di emergenza e che la riforma, tesa a ridurre il ruolo della cassa integrazione straordinaria, entrerà in vigore successivamente. Governo e parti sociali convergono inoltre sull'obiettivo di fare dell'apprendistato il contratto principale d'ingresso al lavoro per i giovani e di combattere alcune forme di precariato, come stage, false partite Iva e associazioni in partecipazione. Convergenza c'è anche sulla necessità di rendere effettivo il legame tra ammortizzatori sociali e ricerca attiva del lavoro,nel senso che i sussidi devono essere ritirati a chi rifiuta una nuova occupazione.

Resta il nodo dell'articolo 18 che difficilmente le parti sociali potranno sciogliere da sole, se non altro per l'indisponibilità assoluta della Cgil. Toccherà al governo scioglierlo. Con una soluzione che gli conservi la maggioranza ed eviti lo scontro sociale. Esercizio difficile, ma non impossibile.

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