La Casta è di casa

Dalla Rassegna stampa

Sarà mai possibile scongiurare scandali come quello dell'ente pubblico milanese che concedeva le sue case ai potenti invece che ai bisognosi? Chiunque faccia parte della casta degli ammanicati non dà quasi più peso ai vantaggi connessi alla sua posizione. Non sto parlando di reati, ma di quei piccoli lubrificanti esistenziali che rendono la vita più scorrevole: il superamento di una lista d'attesa in ospedale, la sala vip dell'aeroporto, il posto gratuito allo stadio, l'accesso privilegiato a un appartamento. Insomma, la gigantesca ragnatela di «do ut des» che rappresenta la struttura portante di tutte le società, ma della nostra, familista e corporativa, in particolare.

Come se ne esce? Non si può cambiare per decreto la natura umana (trattasi di un lavoro lungo che attiene alla sfera spirituale di ciascuno). Ma neppure ci si può continuare a ingannare con l'idea consolatoria che i cattivi siano sempre «gli altri», mentre soltanto noi sapremmo maneggiare il potere senza farcene corrompere. Il potere corrompe chiunque lo detenga o ne entri in contatto: è la sua essenza. Però è possibile limitarne i danni. Sottoponendo il settore pubblico a una cura dimagrante, così da ridurre le tentazioni, e non tenendo nessuno sulla stessa poltrona per più di un certo lasso di tempo. Una precauzione, quest'ultima, che andrebbe utilmente-estesa a tutte le mansioni umane, con l'unica eccezione del «Buongiorno».

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