Caso Scajola, serve l'anagrafe patrimoniale

Dalla Rassegna stampa

Pensieri "spettinati" a partire dal caso Scajola. Una premessa s’impone: dev’essere chiaro che per tutti, e dunque anche per il ministro Scajola, l’onere della prova spetta all’accusa. Dunque, sono i magistrati e gli investigatori che devono provare che Scajola è colpevole di qualcosa, non il contrario: si tende spesso, troppo spesso, a dimenticare questo fondamentale principio dello stato di diritto; e infatti, quante volte, in cronache affrettate, può accadere di leggere: «Ci si augura che possa provare la sua innocenza».
Su questo, per favore, non deroghiamo. Conosco l’obiezione: Scajola è un politico, di più: è un ministro. E per un politico, per un ministro vale (dovrebbe valere) il detto che si dice valesse (e comunque non sempre con fondamento anche allora) che nessuno doveva nutrire sospetti sul conto della moglie di Cesare, e per tempi a noi più vicini, si potrebbe fare riferimento alla maggiore severità con cui, in paesi come la Germania, i paesi scandinavi, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, opinione pubblica e giornali hanno nei confronti dei comportamenti dei loro politici.
L’istituto delle dimissioni è molto più praticato, anche se nelle cronache di quei paesi accade raramente di leggere quello che da noi accade spesso: che dopo mesi, anni di indagini, tutto si rivela una bolla di sapone, viene dichiarato il non luogo a procedere o arriva il proscioglimento pieno. Là, in quei paesi dove si è più severi, quasi sempre all’accusa corrisponde il reato, accertato e ben definito.
Al di là di questo aspetto, l’episodio Scajola mi ha fatto pensare, ancora una volta, a una pagina de Il Giorno della civetta, il bel romanzo di Leonardo Sciascia che qualche bello spirito ha sostenuto essere una sorta di inno alla mafia. Cretinata che si sarebbe risparmiata, se solo si fosse riflettuto su un brano che potrei citare quasi a memoria; è la pagina che descrive un capitano Bellodi scorato, timoroso che il capo-mafia don Mariano Arena gli possa (come poi effettivamente accade) sfuggire tra le mani; e per questo sembra cedere alla tentazione di far uso di quei metodi alla Cesare Mori, al di là e al di sopra della legge. Metodi che lasciarono il tempo che trovano, perché Mori, quando dopo aver estirpato il brigantaggio, si rivolse ai mafiosi, fu prontamente fermato: "promosso" dal regime fascista senatore del Regno, e rimosso: che i mafiosi già si erano infiltrati nel regime, e ne erano diventati parte. Ad ogni modo, questo pensiero "cattivo", il capitano Bellodi ce l’ha solo per un momento. Poi, ecco la conclusione cui giunge: «Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe, di colpo piombare sulle banche; mettere mani esperte nella contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. Soltanto così ad uomini come don Mariano Arena comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi...».
Si badi: il romanzo è stato scritto nel 1959, pubblicato l’anno dopo. Se quel "giusto senso’ fosse stato tirato per tempo, forse, chissà, tanto di quello che è emerso nel corso delle varie tangentopoli ce lo saremmo risparmiato... Per tornare a Scajola (che a questo punto è solo un paradigma): a chi scegliamo come nostro rappresentante e decide di fare, "professionalmente" politica, e ai pubblici funzionari, a chi amministrala cosa pubblica, doverosamente l’elettore può e deve chiedere una coerenza tra stipendi e tenori di vita. Per poterne tirare il giusto senso; e lasciamo che siano magistrati e polizie a tirarne il senso dal punto di vista penale, se c’è. Per il cittadino c’è uno strumento possibile: si chiama Anagrafe patrimoniale degli eletti e degli amministratori. È la proposta radicale che tanti a parole sostengono, e nei fatti boicottano. Si tratta di conoscere patrimoni ed "entrate" di chi ci governa; di poter controllare in rete quei dati, rendendoli accessibili. Naturalmente nessuno si illude che in questo modo si elimini la corruzione, il peculato. Però si avrebbe uno strumento in più per giudicare, per valutare se l’onorevole Tizio o il ministro Caio merita fiducia e credito. Caro segretario Bersani, caro Pd, non credete che anche questo debba fare parte del bagaglio "alternativo" da offrire all’elettore rispetto ai sogni e all’illusioni del berlusconismo?

© 2010 Europa. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK