Casini è costretto a restare solo

Il difficile, a volte, arriva quando hai ragione. Pier Ferdinando Casini ha vinto la sfida dell'immobilismo e della sopravvivenza. Eppure, quando tutti, nel caos della politica italiana, si mettono a guardare all'unico punto fermo (neppure la Lega, che pure è il partito più antico, è altrettanto inamovibile come collocazione), la situazione si fa più complicata.
Che Berlusconi tenti l'Udc non è più un'ipotesi, è un dato di fatto ribadito ieri con chiarezza palese dal palco di Atreju. Che Bersani adocchi Casini è un altro dato di fatto. Che Fini e Rutelli ronzino intorno ai centristi è un'evidenza che precede la grande rottura, del primo con Berlusconi e del secondo con il Pd. Solo che poi, quando tutto sembra darti ragione dopo anni passati a brandire lo scudino crociato in splendida solitudine tra le corazzate bipolari (l'ascesa di Michele Vietti alla vicepresidenza del Csm è stata un piccolo trionfo di questa strategia), le cose si complicano un po'. Il paradosso è questo: Berlusconi vuole fortissimamente i voti in Aula di Pier, ma non può chiederli a viso aperto - magari tramite qualcosa di simile un appoggio esterno - perché la Lega è pronta ad azzannare l'osso. Pur nell'abbassamento di toni generale che ha caratterizzato il week end appena trascorso, il Carroccio non ha rinunciato a una polemica a distanza, con gli ex diccì. E Maroni, per una volta più falco del Senatur, ha lasciato capire che una maggioranza ostaggio di un gruppo di parlamentari "aggiunti" sarebbe deleteria e sicuro viatico per le elezioni anticipate.
Una bocciatura a pieno titolo del gruppo di "responsabilità nazionale" che pure Berlusconi ha lavorato per portare a termine, con risultati tutti da verificare. Lo stesso Cavaliere poi ha messo un cuneo non indifferente tra Pier e i suoi, laddove ha spiegato che in un sistema bipolare il "centro" come luogo politico non può, nella situazione italiana, stare con la sinistra, anche a dispetto dei suoi leader.
La considerazione di Berlusconi ha il suo perché. Casini alle Regionali ha perso in Piemonte alleato col Pd, e ha vinto dove è andato col PdL (la Puglia è un caso a parte). Soprattutto, il crescente disagio avvertito nel Pd da parte dei cattolici anche dopo l'uscita di Rutelli rende obiettivamente complessa un'alleanza programmatica con un partito che rischia di farsi dirottare da Vendola su lidi diversissimi ma, con metodi simili a quelli che portarono alla candidatura di Emma Bonino alla Regione Lazio. Lo stesso Casini ieri ha sogghignato con perfidia: «La temperatura del Pd non è pervenuta». Il famoso "terzo polo" per ora punta su Rutelli, ma è quasi impossibile che abbracci Fini, distantissimo sul piano dei temi etici da Casini, anche se con bacini elettorali simili. Ragioni buone per evitare convivenze. I motori del "Partito della Nazione" sono caldi da mesi, e l'autunno porterà il giro della chiavetta d'accensione. Ma quella casiniana resta una polizza sulla vita del bipolarismo, da incassare solo dopo la scomparsa del sistema introdotto con Silvio Berlusconi nella politica italiana.
Ecco, il paradosso di questa convulsa fase è che Casini può permettersi di alzare il prezzo con il Cavaliere chiedendogli le dimissioni per ufficializzare la sua crisi parlamentare e aprire le porte al classico rito della "vecchia politica" che già aveva rovinato la vita al Cavaliere nel 2005: il rimpasto. Però non può ottenerlo, perché Berlusconi ben difficilmente si piegherà a una soluzione del genere. Dovesse farlo, ci sarebbe la Lega a far esplodere la situazione per evitare di spartire il potere con un commensale in più. «Meglio Fini di Casini», ha ripetuto ieri il Carroccio. E in caso di urne? Anche qui Casini sarebbe l'uomo in più che garantirebbe a Berlusconi la vittoria certa al Senato. Ma avrebbe senso massimizzare il proprio potere proprio facendo da stampella al bipolarismo quando la stessa esistenza dell'Udc è una scommessa che vince sulla scarsa tenuta del bipolarismo stesso?
Discorso analogo, ovviamente, per un'alleanza con la sinistra, che però presenta prospettive desolanti quanto a esiti elettorali, almeno per il momento. Ieri Casini ha avuto una giornata intensa: da Chianciano - dove ha chiuso la sua tre giorni - ha osservato Berlusconi tentare in diretta il colpo gobbo: spaccargli il partito. Separare i centristi desiderosi di spalleggiare il Cavaliere e il loro leader: «I centristi saranno con noi anche contro il loro capo», ha detto ad Atreju. In tempo reale, Casini spiegava: «Ci ha offerto di tutto, ma deve dimettersi: non siamo ai saldi». Pare che Pier l'abbia presa malissimo. Non a caso, in serata è arrivata una irrituale nota di Palazzo Chigi: «Il mio discorso sui centristi non riguardava in modo specifico Casini e l'Udc, ma si riferiva in generale alla posizione centrista. È stato un discorso rivolto al futuro in caso di elezioni, non al presente». Se il matrimonio s'avrà da fare, ci vuole una dote seria. L'appoggio esterno non basta.
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