Carta vince, carta perde e il 5 per mille diventa 3,75

Dalla Rassegna stampa

Parte male il 2011, che la Ue ha dichiarato anno europeo del volontariato: almeno in Italia, dove pure l’azione volontaria sostituisce buona parte dei servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti dallo Stato. Parte male perché, dopo mesi di mobilitazione del non profit, ancora non è finito il calvario del 5 per mille, quella percentuale di tasse che il contribuente può scegliere di devolvere a finalità d’interesse sociale. Il decreto Milleproroghe, approvato dal Consiglio dei ministri a Natale, ha riportato a 400 milioni di euro il tetto delle risorse erogate al Terzo Settore (che la Finanziaria aveva ridotto a un quarto), ma 100 sono quelli già destinati alla ricerca e all’assistenza per i malati di Sla, la sclerosi amiotrofica. «Un giusto fondo statale per una giusta necessità, che però non ha nulla a che vedere con il 5 per mille, in cui il cittadino dovrebbe poter scegliere la realtà non profit a cui dare i suoi soldi» ha protestato Marco Granelli, presidente del CsvNet, rete nazionale dei Centri di servizio del volontariato. «Con un tetto ridotto del 25 per cento, il 5 per mille è diventato di fatto un 3,75 per mille».
 
 Un bel problema, perché il non profit faceva affidamento su quel denaro. Anche se le erogazioni statali arrivavano in ritardo di un paio anni. Anche se le duecento associazioni di volontariato più grandi e famose riuscivano a ottenere il 73 per cento del denaro a disposizione La maggior parte delle migliaia di organizzazioni non profit riceveva dalle tasse degli italiani meno di 5 mila euro l’anno, ma così riusciva almeno a pagare la sede o il telefono. Ora il decreto Milleproroghe è in commissione Affari costituzionali del Senato, prima di essere convertito in legge: questa è l’ultima occasione per modificarlo. E va fatto: il taglio si aggiunge alle minori agevolazioni delle tariffe postali, ai tagli del 63 per cento ai fondi per le politiche sociali e del 34 al servizio civile.

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