La carta piace a (quasi) tutti: Gentiloni e Parisi perplessi

La carta d’intenti presentata ieri da Pier Luigi Bersani nel partito è piaciuta praticamente a tutti, con qualche eccezione. Certamente non ha convinto fino in fondo Paolo Gentiloni. Parlando con Europa l’esponente di punta di Modem ribadisce le sue «perplessità sul metodo» adottato per la stesura del documento sul quale il segretario incardinerà l’alleanza tra democratici e progressisti per le prossime politiche. «Nelle settimane scorse il Pd ha riunito più volte gli organismi dirigenti, c’è stata l’assemblea nazionale – spiega – non credo sarebbe stato sbagliato discutere e approvare un documento col quale, se ho ben capito, si intende impostare il dialogo con forze esterne». Per quanto riguarda le questioni di merito, Gentiloni preferisce non addentrarsi nei contenuti della carta. «Gli ho dato un’occhiata superficiale – aggiunge – non ho avuto il tempo di approfondirne i contenuti e non per mia negligenza, ma perché l’ho scaricata da internet un’ora fa e credo che tutto il gruppo dirigente del Pd sia nelle mie stesse condizioni. Non penso ci siano stati organismi del partito che l’hanno discussa e approvata».
Un’idea, però, sia pure dopo una lettura veloce, Gentiloni ce l’ha, sugli intenti illustrati da Bersani. «Mi pare che siamo in una fase assolutamente preliminare di qualcosa che possa presentarsi come programma di governo e non perché io pensi a un documento di duecentocinquanta pagine sul quale abbiamo già dato – sorride riferendosi all’ultimo governo Prodi – Anche in un testo più sintetico di quello che ho visto si possono indicare scelte fondamentali, discriminanti, sulle quali il partito ha discusso e preso decisioni. Mi sembra che siamo in una fase di impostazione generale, non di indicazioni di scelte».
Punto condiviso è «la forte sottolineatura della prospettiva federalista europea, la centralità degli stati uniti d’Europa», mentre «mi sarei aspettato maggiore chiarezza sul discorso della continuità delle scelte fatte in questi mesi dal governo Monti». E poi c’è la cosiddetta “patrimoniale”, ieri al centro di una polemica infuocata nel Pd oggi rilanciata nella carta d’intenti. «Ricordo che quando, nel gennaio 2011, formulammo la proposta in un incontro di Modem ribattezzato “Lingotto 2”– conclude Gentiloni – nel partito ci fu una reazione un po’ burocratica, le polemiche vennero anche dai dirigenti e qualcuno che disse che l’ipotesi era già stata accantonata. Oggi prendo atto con piacere che, un anno e mezzo dopo, quell’ipotesi venga recuperata. Poi, ovviamente, bisogna vedere come si deciderà di metterla in pratica».
Critico su metodo e contenuti della carta anche Arturo Parisi, che alle agenzie ha dichiarato: «Non è per tornare ai progressisti, dopo 18 anni, vuoti di tutto all’infuori che del berlusconismo, non è per tornare all’illusione del partito egemonico che abbiamo fondato il Pd. Non è per incoronare quello che Bersani chiama “il candidato dei progressisti” che sono state pensate le primarie. Non è per dar vita alla sezione italiana dei cosiddetti “progressisti europei” e trasferire in Italia le vecchie distinzioni tra le vecchie famiglie politiche europee che sono stati sciolti partiti che erano stati pensati per il futuro». Parisi ha ricordato: «Anche se proposta in nome della sua personale autorità e non sottoposta ad alcuna verifica democratica, la carta degli intenti di Bersani conferma che il Pd continua nel presente e difenderà nel futuro l’antica tradizione politica che ha ereditato dal passato». E sull’a coalizione da costruire ha aggiunto: «Ci vuole ben altro che un’alleanza tra il Pd e le supposte “autorità morali e intellettuali” del paese, per guidare l’Italia oltre la tempesta. Né basta, dentro il centrosinistra, il puntello di alcuni improvvisati “contratti co.co.co.” con partiti minori, e, all’esterno del centrosinistra, un “patto” con centristi più o meno consenzienti».
Larghi apprezzamenti sul documento presentato dal segretario arrivano invece dal senatore Enzo Bianco, esponente dell’area liberal. Raggiunto in una pausa dei lavori al senato, spiega: «Condivido senza esitazioni sia il metodo scelto da Bersani sia il merito del documento. È la strada che noi liberal ci siamo permessi di consigliare al segretario: si parta dal profilo di governo che si offre ai possibili alleati, poi si passi all’alleanza con le forze che, più che progressiste, io definirei riformatrici e quelle dell’area moderata, per poi individuare il metodo con cui selezionare il candidato premier». Quanto agli argomenti inseriti nel documento, per Bianco definiscono «un profilo di governo credibile. Il quadro complessivo è quello di ridare competitività al sistema Italia e le proposte di Bersani vanno in quella direzione. Mi permetto di suggerire di insistere su altri due temi: quello della sicurezza, domanda forte, specie dei ceti meno abbienti, che sarebbe sbagliato lasciare al centrodestra, e quello della ricerca e della formazione. E la patrimoniale? «La parola non deve scandalizzare – risponde Bianco – anzi, tassare di più i patrimoni e meno le imprese è una scelta giusta ed è sacrosanto quello che provò a fare il governo Prodi col cuneo fiscale. Infine – chiude Bianco – prendo atto con piacere che il tema della laicità viene fortemente ripreso nella parte terminale della carta».
Sul capitolo diritti civili, parlando con Europa, il presidente del partito Rosy Bindi apprezza che Bersani abbia ricordato «il passo avanti fatto con il documento del comitato diritti. Sono parole chiare, le stesse che avevo pronunciato io al termine dell’assemblea del 14 luglio. E mi pare che non ci siano margini né per divisioni pretestuose né per nuove strumentalizzazioni. Abbiamo sempre detto che il Pd, ispirandosi alla sentenza della corte costituzionale, prendeva l’impegno del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali». Il via libera, comunque, è su tutta la linea. Per Bindi, infatti, «Bersani ha presentato i pilastri su cui il Pd vuole costruire l’alternativa al paradigma culturale e politico della destra che ha dominato in questi anni».
Soddisfatta anche Paola Concia: «Noi siamo la dimostrazione evidente di un partito che discute e poi decide. Bersani ha ascoltato e fatto la sintesi. Sono molto contenta». E l’impostazione «forte e convincente» della carta è piaciuta anche al vicesegretario Enrico Letta. Mentre Marco Follini ha apprezzato «lo sforzo di tenere insieme le nostre diverse sensibilità».
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