Il carroccio tra Po e Baviera

Dalla Rassegna stampa

Come negli anni '92-93, la politica si è trasformata in un composto fluido, quasi gassoso. In attesa che si solidifichi di nuovo con nuove caratteristiche. La sola certezza è che fra un anno, dopo le prossime elezioni, la fisionomia della Italia pubblica sarà diversa da quella di oggi. Una buona spia dei movimenti in atto nel sistema dei partiti, ma anche della confusione che oggi regna, è data dalla svolta avvenuta nella Lega Nord. Ieri, al congresso di Assago, è nata la Lega di Roberto Maroni. Maroni, che ha il problema di dare un nuovo volto a un partito oggi diviso e in crisi, ha compattato i militanti ricorrendo a un linguaggio molto duro. Ha parlato di indipendenza del Nord come obiettivo strategico, ha ribadito l'opposizione frontale al governo Monti, ha adombrato gesti estremi come l'abbandono di Roma di parte dei leghisti. Per consolidare la sua leadership, Maroni deve difendersi da un doppio attacco, interno ed esterno. All'interno, deve tenere a bada i nostalgici del vecchio capo, di Umberto Bossi, che lo aspettano al varco, pronti ad accusarlo di svendere la Padania se cercherà accordi con i partiti «romani». All'esterno, deve impedire che gli elettori leghisti si facciano tentare dalle sirene anti-sistema di Beppe Grillo e, per questo, tiene alta la bandiera, anch'essa anti-sistema, dell'indipendentismo. Tutto ciò è comprensibile, nel senso che ne è chiara la logica politica.
Tuttavia, Maroni è anche un leader troppo intelligente e abile per non sapere che non riuscirà a difendere il ruolo della Lega come sindacato territoriale, come assertore degli interessi del Nord del Paese (o di una sua parte), se non si «sporcherà le mani» cercando intese e accordi elettorali con altri partiti. Potrà anche aspettare che si faccia (e pare proprio che si faccia) la nuova legge elettorale ma, dopo, non potrà rinviare ancora a lungo la questione delle alleanze. La porta è stretta. Maroni ha il problema di riuscire a normalizzare la Lega, di trasformarla in un normale partito territoriale (modello Csu in Baviera) come i tanti che esistono in Europa: una via praticamente obbligata dopo la conclusione della fase rivoluzionario-carismatica dominata da Bossi. Non è però sicuro che quest'opera di normalizzazione sia possibile se Maroni non si rassegnerà a perdere (magari allo scopo di conquistare nuovi e diversi elettori) le componenti più estremiste del movimento e, soprattutto, se non sarà disposto a modificare molte posizioni leghiste su temi cruciali. Ad esempio, come sarà possibile ricucire i rapporti con il Pdl, che ha sostenuto e sostiene Monti, se su una serie di argomenti, dalle pensioni alle liberalizzazioni, alla riduzione della spesa pubblica (quella locale compresa), la Lega manterrà la sua tradizionale posizione di ostinato rifiuto? Se e quando una normale dialettica destra/sinistra si ricostituirà nel Paese, è probabile che, visti i livelli di tassazione raggiunti, la domanda principale degli elettori di destra, non solo al Nord, si concentri sulla riduzione delle tasse. Ma un programma di riduzione fiscale non sarebbe credibile, sarebbe velleitario e irresponsabile, se non fosse accompagnato da una politica di drastica contrazione e razionalizzazione della spesa pubblica, nazionale e locale. Se vorrà essere della partita, la Lega dovrà rinunciare al conservatorismo intransigente che ha per tanto tempo coltivato.

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