Il Carroccio chiede un vertice di maggioranza

«Il rischio è di finire come il governo Prodi: sarebbe una fine terrificante». Per evitare la prospettiva che spaventa Roberto Maroni, la Lega ha chiesto e ottenuto un vertice tra i presidenti dei gruppi di Camera e Senato che hanno votato la fiducia al governo: Pdl, Lega, Fli, Noi Sud. Incontro che si terrà domani alle 11.30 per «esaminare le più rilevanti questioni sui lavori parlamentari». Insomma, il primo tempo di quella verifica da completare, sempre secondo Maroni, entro tre settimane. Accelerazione improvvisa che non trova impreparato l'altro fronte, che preme per un governo a tempo in grado di varare una nuova legge elettorale. In prima fila ci sono i finiani, ma converge anche il Pd di Pier Luigi Bersani, che si dice «pronto a una nuova legge con una maggioranza, non di governo ma in Parlamento, per cambiare la legge elettorale».
In pochi ormai credono che la maggioranza riesca a ricompattarsi. Se la frattura tra Berlusconi e Fini si rivelasse insanabile, tra governo e urne ci sarebbe una terza opzione: un esecutivo tecnico che cancelli il Porcellum, l'odiata legge elettorale escogitata da Roberto Calderoli. Ipotesi «fantascientifica», secondo Maroni. Bersani, invece, apre a Italo Bocchino (secondo il quale «esiste già una maggioranza alternativa»): «Questa legge è vergognosa, la maggioranza per cancellarla si fa in Parlamento con chi è disposto a convergere».
Il Pd potrebbe seguirlo, anche se resta intatta la spaccatura tra chi vuole uninominale e sistema maggioritario per conservare un bipolarismo forte (vedi alla voce Veltroni) e chi preme per un proporzionale alla tedesca (vedi alla voce D'Alema). Servono, per una maggioranza alternativa, Udc e Idv. Antonio Di Pietro non muore dalla voglia di cambiare legge elettorale. Preferirebbe andare a votare subito perché teme i «furbetti del Parlamento», ovvero chi, con la scusa di cambiare la legge, finisce per «cambiare la maggioranza». Per questo apre, ma pone condizioni: «Si può fare un governo tecnico, ma non deve durare più di go giorni e deve essere garantito dal Quirinale». Disponibile, «senza preclusioni», si dice l'Udc. Qualche grana sembra arrivare invece dai radicali, che minacciano di far uscire dai gruppi del Pd i loro sei deputati e tre senatori. Motivo? «Un lungo elenco di azioni e pratiche anti-radicali». E il timore di «una controriforma elettorale che restauri il proporzionale o il meccanismo clientelare delle preferenze». Ma anche una evidente marginalizzazione nel gioco delle alleanze. Quanto al Pdl, c'è un clima di attesa. Si aspetta di capire se c'è ancora un margine minimo per andare avanti. L'unica alternativa presa in considerazione è il voto. Per questo tutti i dirigenti si scagliano contro ipotesi terze. Sandro Bondi parla di «trasformismo» e di «manipolazione della volontà popolare». Fabrizio Cicchitto si dice «sorpreso dal ritorno della teoria sulla intercambiabilità delle alleanze». E in molti parlano di «ribaltone». Ma ci sono anche esponenti del Pdl che hanno aderito alla neonata associazione per il ritorno dell'uninominale. Parlamentari che, quindi, potrebbero aggiungersi alla «maggioranza trasversale».
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