Carceri, è scontro tra Maroni e Alfano

Litigano sulle carceri, ma vanno a braccetto sulle intercettazioni. Maroni versus Alfano sulla norma che manda ai domiciliari chi deve scontare l’ultimo anno di pena. Un «indulto» sbotta dal Cairo il ministro dell’Interno. Il Guardasigilli lo difende perché è suo dovere «istituzionale, politico, morale» affrontare il record storico di 67.542 detenuti, oltre il limite tollerabile di 66.905. Uno scontro durissimo tra Pdl e Lega che però non mette a rischio la tenuta sugli ascolti. La maggioranza al Senato cassa le due righe che potevano salvare un granello del diritto di cronaca. Scompare la possibilità di dar conto, almeno «per riassunto», degli atti dei processi.
I resoconti giudiziari chiudono i battenti: i casi Scajola, Verdini, Bertolaso, Agcom diventano un buco nero perché la legge stabilisce che fino al termine delle indagini preliminari tutto dovrà essere segreto. Pena multe salate (fino a 20mila euro per le intercettazioni) e due mesi di carcere. Nel Pdl e nella Lega neppure una voce critica. L’opposizione si scatena, gridano al «bavaglio» Finocchiaro, Casson, Della Monica (Pd) e il dipietrista Li Gotti. Ma è tutto inutile. Non va così per la legge che Maroni bolla come «peggiore dell’indulto».
Un attacco a freddo. «Valuto negativamente il ddl svuota carceri, visto che gli effetti non varrebbero una tantum ma per sempre». Il titolare del Viminale alza la bandiera della sicurezza: «Non siamo in grado di controllare le 10mila persone che andrebbero ai domiciliari». Ci vorrebbe il braccialetto elettronico, che pure Alfano aveva promesso, ma ne funziona solo uno. Sono le 11 e la giornata del Guardasigilli si guasta. Maroni stronca il suo progetto di trasformare il ddl in decreto. Era già pronto venerdì, ma l’assenza di Maroni a palazzo Chigi ha frenato Alfano. Che preannuncia la resa dei conti per domani alla riunione dell’esecutivo dove farà il punto sull’emergenza carceri.
Polemico, ricorda al collega di aver votato il testo il 13 gennaio senza dare segni di dissenso e assieme a un piano carceri che «esclude indulti e amnistie». In commissione Giustizia il vice capo della polizia Francesco Cirillo dà pezze d’appoggio a Maroni: per controllare i domiciliari servono 225mila ore in più e 33mila agenti. Secca la richiesta: fuori dal beneficio scippi, furti, violenze, spaccio. Come finirà? Lo prevedono il capogruppo in commissione Giustizia Enrico Costa e il relatore Alfonso Papa. Il primo: «Ho parlato con i leghisti e, con le dovute correzioni per ridurre gli automatismi, il testo può andare avanti».
Il secondo ipotizza che «si possa fare anche il decreto». Per certo la presidente della commissione Giustizia, la finiana Giulia Bongiorno, sta con Alfano e non con Maroni: «In questo momento la priorità sono i detenuti perché il problema del sovraffollamento è serissimo. La ratio del ddl è condivisibile, ma sono state evidenziate criticità che vanno corrette».
La radicale Rita Bernardini contesta Maroni («Una sparata puramente demagogica») e prosegue lo sciopero della fame incorso da oltre20 giorni. Il Pd attacca i due ministri. Donatella Ferranti li vuole in commissione. Per lei il ddl è «minimale, senza soldi e scritto male», ma può essere corretto cancellando gli automatismi. Quelli che, secondo il responsabile Giustizia Andrea Orlando, lo rendono pure «incostituzionale».
I resoconti giudiziari chiudono i battenti: i casi Scajola, Verdini, Bertolaso, Agcom diventano un buco nero perché la legge stabilisce che fino al termine delle indagini preliminari tutto dovrà essere segreto. Pena multe salate (fino a 20mila euro per le intercettazioni) e due mesi di carcere. Nel Pdl e nella Lega neppure una voce critica. L’opposizione si scatena, gridano al «bavaglio» Finocchiaro, Casson, Della Monica (Pd) e il dipietrista Li Gotti. Ma è tutto inutile. Non va così per la legge che Maroni bolla come «peggiore dell’indulto».
Un attacco a freddo. «Valuto negativamente il ddl svuota carceri, visto che gli effetti non varrebbero una tantum ma per sempre». Il titolare del Viminale alza la bandiera della sicurezza: «Non siamo in grado di controllare le 10mila persone che andrebbero ai domiciliari». Ci vorrebbe il braccialetto elettronico, che pure Alfano aveva promesso, ma ne funziona solo uno. Sono le 11 e la giornata del Guardasigilli si guasta. Maroni stronca il suo progetto di trasformare il ddl in decreto. Era già pronto venerdì, ma l’assenza di Maroni a palazzo Chigi ha frenato Alfano. Che preannuncia la resa dei conti per domani alla riunione dell’esecutivo dove farà il punto sull’emergenza carceri.
Polemico, ricorda al collega di aver votato il testo il 13 gennaio senza dare segni di dissenso e assieme a un piano carceri che «esclude indulti e amnistie». In commissione Giustizia il vice capo della polizia Francesco Cirillo dà pezze d’appoggio a Maroni: per controllare i domiciliari servono 225mila ore in più e 33mila agenti. Secca la richiesta: fuori dal beneficio scippi, furti, violenze, spaccio. Come finirà? Lo prevedono il capogruppo in commissione Giustizia Enrico Costa e il relatore Alfonso Papa. Il primo: «Ho parlato con i leghisti e, con le dovute correzioni per ridurre gli automatismi, il testo può andare avanti».
Il secondo ipotizza che «si possa fare anche il decreto». Per certo la presidente della commissione Giustizia, la finiana Giulia Bongiorno, sta con Alfano e non con Maroni: «In questo momento la priorità sono i detenuti perché il problema del sovraffollamento è serissimo. La ratio del ddl è condivisibile, ma sono state evidenziate criticità che vanno corrette».
La radicale Rita Bernardini contesta Maroni («Una sparata puramente demagogica») e prosegue lo sciopero della fame incorso da oltre20 giorni. Il Pd attacca i due ministri. Donatella Ferranti li vuole in commissione. Per lei il ddl è «minimale, senza soldi e scritto male», ma può essere corretto cancellando gli automatismi. Quelli che, secondo il responsabile Giustizia Andrea Orlando, lo rendono pure «incostituzionale».
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