E' caccia agli strani misteri del "dossier Lukashenko"

Dalla Rassegna stampa

Un «regalo da amico». Su cui, però, si è già aperta una caccia al tesoro tra addetti ai lavori. Dell’archivio consegnato dal leader bielorusso Alexander Lukashenko a Silvio Berlusconi si conosce, per così dire, solo l’intestazione: prigionieri italiani reclusi in Urss dagli anni trenta al secondo dopoguerra. Memorie di prigionieri? Informative su ex comunisti? Veline sui rapporti tra il vecchio Pcus e il clandestino Pci, poi sdoganato e "costituente"?

 

Ogni ipotesi vale. Al punto che sulla faccenda si sono subito accesi i riflettori della politica: due le interrogazioni parlamentari formulate per saperne di più, una a firma dei radicali (del Pd) Marco Perduca e Donatella Poretti, l’altra presentata dalla senatrice democratica Roberta Pinotti. Tuttavia un’eventualità andrebbe scartata quasi subito. Almeno a sentire chi, da uomo forte di Botteghe Oscure, con Mosca ha avuto rapporti intensi e continui per quasi mezzo secolo: «Tutto quel che poteva essere detto sull’atteggiamento tenuto dal Pci nei confronti dei prigionieri di guerra è stato detto» afferma l’ex dirigente che chiede l’anonimato. «Di più: è già stato tutto scritto. Con il suoOro da Mosca ( Mondadori), Valerio Riva ha tracciato nel 2002 un confine definitivo. Anche sui finanziamenti concessi dal Pcus al Pci, in cambio di certi silenzi». Tutto scritto, con tanto di ricevute del "dato e avuto" sulla rotta Roma-Mosca.

Dunque nessun nuovo dossier Mitrokhin all’orizzonte. Nessuna memoria da vendere all’incanto. E nessuna lettera inedita, come quella di Togliatti sul costo di vite umane da pagare al fascismo datata 1943 e ricomparsa nel ’92. Semmai materia per gli storici. «Il Kgb schedava tutti gli italiani emigrati» assicura Adriano Guerra, già direttore del Centro studi sui paesi dell’Est dell’Istituto Gramsci e autore di Comunismo e comunisti (Dedalo editore). «Erano autentiche biografie, complete in ogni dettaglio. Sappiamo anche quasi tutto delle condizioni di vita nei campi, delle torture, dei processi sommari, delle uccisioni».
Tuttavia la frase con cui Lukashenko ha accompagnato il "regalo" al premier italiano – «Vedrà, presidente: ne rimarrà colpito» – merita una qualche attenzione. «A differenza di quelli moscoviti, gli archivi del Kgb a Minsk sono rimasti chiusi in cassaforte anche dopo il crollo del gigante sovietico» spiega la storica Francesca Gori, autrice con Elena Dundovich di Italiani nei lager di Stalin (Laterza). Un pezzo di memoria è stata segregata e custodita come un tesoretto. Magari per essere riesumata al momento opportuno, come moneta di scambio o gentile cadeaux.

È più che probabile che in questa operazione possa esservi un brandello di verità in più sugli oltre 80mila italiani che dagli anni trenta in poi, guerra compresa, andarono a Mosca a scaldarsi al Sol dell’avvenire e non sono mai più tornati. «Non solo soldati dell’Armir - continua Gori – ma anche intellettuali, operai in rivolta con il regime fascista, perfino acrobati di circo. La diaristica dei campi ha autori spesso inimmaginabili. Come quell’ingegnere Anderson, laurea al politecnico di Torino e un posto di quadro alla Fiat, che va in Russia per costruire una fabbrica di cuscinetti a sfera e viene fucilato nel campo di Butovo. L’accusa: Bordighismo».

La verità nascosta su storie comequeste sta però fuori dalla decina di campi in cui gli italiani, ex soldati o illusi dal sogno comunista, vennero internati. Sta nel ritardo con cui ottennero il rimpatrio, a ondate successive, come fossero merce poco interessante nel gioco a scacchi della Guerra fredda. Sta nel dolore ossessivo che ricorre nelle lettere e nei diari, in cui la parola ritorno si associa alla rabbia di essere stati dimenticati. «Gli ultimi rientrarono nel ’53 - ricorda Gori -. E la loro liberazione è da ascrivere più alla pressione di Konrad Adenauer per il rilascio dei prigionieri tedeschi che a quella dei nostri leader». L’Italia del dopoguerra rimuoveva le ferite. Quella di oggi pare voler "conoscere" anche quel che è ormai storia.
 

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