C’eravamo tanto uniti

Dalla Rassegna stampa

La sinistra che non cambia, dice Renzi, diventa destra. Ma che succede alla destra che non cambia? Difficile dirlo, in un Paese che dopo la caduta della Destra storica, nel 1876, ha dovuto aspettare 118 anni prima che un’altra destra democratica, risvegliata dal bacio di un Cavaliere, tornasse all’onor del mondo. Oggi che la vicenda cominciata nel 1994 si avvia alla conclusione, sempre più il ruolo storico che vi ha svolto Berlusconi sembra simile a quello che Tito ha impersonato per la Jugoslavia: appena uscito di scena il fondatore, appena sollevato il velo di un’unità fittizia steso su divisioni profonde e irriducibili, tutto è tornato al passato, conflitti e scontri e odi, fino alla dissoluzione dell’effimera creatura. Diventa insomma sempre più difficile pronosticare per il centrodestra italiano l’esito felice che consentì al gollismo di sopravvivere al ritiro del suo fondatore; e sempre più probabile uno scenario di guerra civile interna, di stampo per l’appunto jugoslavo.

La ragione è facile da capire: in tutti questi anni non si è mai lavorato a costruire una cultura comune del centrodestra, un set di valori indipendenti dalle persone che di volta in volta li incarnavano. I dirigenti dei partiti di quell’area politica, da Forza Italia a Ncd, dalla Lega a Fratelli d’Italia, all’Udc, non sono d’accordo sull’essenziale. Che si tratti della fecondazione eterologa o della riforma del Senato, hanno opinioni diverse. Alcuni sono europeisti altri euroscettici, ci sono i putiniani e gli amerikani. Per due decenni queste culture politiche sono state sommate, non fuse. Oggi si vede. Ormai lottano l’una contro l’altra per sopravvivere. Un tale vuoto è stato finora dissimulato e nascosto dalla forza primordiale dell’unico istinto comune al centrodestra e maggioritario nel Paese: la rivolta antitasse. Cosicché anche quando i governi Berlusconi non sono stati in grado di ridurle, sono pur sempre apparsi all’elettorato il più efficace baluardo contro chi le tasse le avrebbe certamente aumentate: il centrosinistra. Ma oggi questo collante, questo moltiplicatore automatico di voti, non è più utilizzabile; perché la sinistra ha rotto il tabù fiscale, e sulle tasse dice ormai - e vedremo se Renzi manterrà le promesse, i dubbi sono legittimi - le stesse cose della destra. Alla quale, dunque, tocca trovare un nuovo senso, oltre che un nuovo leader.

Senza questo sforzo sarà difficile ricomporre l’unità politica del centrodestra, rotta dalla sciagurata decisione di Berlusconi di mollare il governo Letta. Oggi, come ha detto Paolo Romani, «il centrodestra è debolissimo al governo e debolissimo all’opposizione». Berlusconi ha buttato a mare una maggioranza di cui deteneva la golden share; e per riconquistare poi un minimo di influenza ha dovuto portare a Palazzo Chigi il suo più formidabile avversario, e consegnargli le chiavi del suo elettorato. Non c’è più molto tempo. Se i vari tronconi del centrodestra arriveranno divisi e in funzione di ascari all’appuntamento fatale con un nuovo patto costituzionale, rischiano di scomparire dalla geografia della Terza Repubblica, dopo aver inventato e dominato la Seconda.

 

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