Le buone ragioni degli indipendenti

Dalla Rassegna stampa

C’è una genera­zione di pro­duttori che me­rita di essere ascoltata con attenzione. Sono le piccole imprese e i professionisti di questo Pa­ese. L’architrave di passio­ni e competenze che regge alla base il sistema econo­mico; la miriade di cellule sociali che innerva la comu­nità civile. Autonomi, indipendenti. Ma anche invisi­bili. E spesso trattati male, come documentano le in­chieste di Dario Di Vico. Se la ripresa è imminente, li vedrà in prima fila. Il ri­schio, però, è che molti, pur scorgendo nella loro at­tività segni di fiducia, alla fine del tunnel non ci arrivi­no nemmeno. Un milione di piccole imprese, dell’in­dustria, del commercio e dell’artigianato e 300 mila professionisti sono in peri­colo. È urgente un segnale. Concreto. Bisogna cogliere gli umori di questa vitale generazione pro-pro (pro­duttori e professionisti); ri­conoscerne la dignità, la funzione sociale, l’insosti­tuibile ruolo civico.

Le idee ci sono. L’occa­sione immediata anche: la discussione sulla Finanzia­ria. L’economia italiana non è fatta solo di grandi imprese e superbanche. Il piccolo non è un’anomalia ma una risorsa. Purtroppo limitata. E fragile. Non go­de, salvo rari casi, di incen­tivi. In banca è un cliente guardato più con sospetto che con riguardo. La mora­toria sui debiti, buona co­sa, l’ha solo sfiorato. Non ha l’accesso al credito della grande industria, la quale, quando è fornitore, gli ri­tarda, al pari dello Stato, i pagamenti. Se chiudono cento piccole imprese, ne­gozi o studi, il danno socia­le è persino superiore a quello della crisi di una fab­brica importante. Ma nes­suno se ne accorge. Gli ammortizzatori? Ampliati ma insufficienti o inesistenti (per i professionisti).

Dunque, che fare? Ap­provare, per esempio, la proposta di uno statuto del­le imprese avanzata da Raf­faello Vignali, vicepresiden­te della Commissione Atti­vità Produttive della Came­ra, che ha già 120 firme bi­partisan e si aggiunge al pacchetto delle semplifica­zioni collegato alla Finan­ziaria. Basta con la giungla di autorizzazioni e permes­si. E ancora: perché non pensare a un’unica comuni­cazione (telematica) sull’av­vio delle attività, fatta solo alle Camere di Commercio, e all’autocertificazione pri­vata sostitutiva? No a tanti controlli fatti da troppi en­ti. Una sola verifica può ba­stare. La burocrazia pesa sulle aziende per l’uno per cento del Pil: 15 miliardi.

Sul piano fiscale, la ridu­zione dell’Irap dovrebbe partire da una franchigia che favorisca i piccoli o dal­la maggiore deducibilità degli interessi passivi. È da rafforzare la struttura dei Confidi, migliorando le ga­ranzie delle imprese mino­ri, ma soprattutto va elimi­nato il sovrapprezzo fiscale dell’indebitamento. La Tre­monti ter (detassazione de­gli acquisti di macchinari) dovrebbe comprendere an­che gli investimenti in tec­nologia, altri beni strumen­tali, formazione, migliorie dei pubblici esercizi ed es­sere estesa agli studi pro­fessionali. In tema di giusti­zia, se solo si allargasse ul­teriormente la mediazione obbligatoria, già in parte lanciata dal governo, coin­volgendo le varie categorie professionali, si abbattereb­be una quantità di cause ci­vili inutili. Sono solo alcu­ne delle misure che potreb­bero trovare un appoggio trasversale. Molte non han­no nemmeno un costo. Non farle, o ritardarle anco­ra, darebbe la sensazione a chi ogni giorno s’inventa il proprio futuro che il Paese premia di più i furbi, i pro­tetti e gli arroganti.

 

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