La buca del delatore

Dalla Rassegna stampa

Per mettere un freno alla corruzione pubblica che ha già spolpato la Grecia, il governo italiano intende introdurre l'arma della delazione. La legge allo studio funziona così. Il dipendente onesto si accorge che il vicino di scrivania prende una mazzetta, prepara una denuncia circostanziata e la consegna all'ufficio apposito della Prefettura, ricevendo in cambio la garanzia dell'anonimato e di una percentuale sostanziosa sui soldi recuperati dallo Stato. Una meraviglia. A Losanna, naturalmente. Ma nella penisola bagnata da quattro mari e da troppi furbi le cose potrebbero andare in modo diverso. Il dipendente invidioso del collega, o arrabbiato col medesimo per questioni di carriera, di sesso, di tifo, di precedenza nell'accesso al parcheggio interno, confeziona una bella «macchinetta del fango» e la deposita sul tavolo di un solerte funzionario che gli garantisce l'anonimato, anzi glielo giura sui suoi figli, e subito dopo telefona al denunciato per spifferare il nome del delatore. Perché Alfano ha ragione quando dice che le leggi vanno scritte per le persone perbene. Ma sono poi le persone «permale» a utilizzarle con la massima perspicacia per ribaltarne il senso a proprio vantaggio.

Non fraintendetemi: al punto in cui siamo, la delazione è comunque meglio dell'omertà. Ma non contrabbandiamola per progresso civile. È una medicina orribile che ci tocca assumere per non morire di mazzette. Consapevoli dei suoi effetti collaterali: allenta il senso di comunità e ripristina la legge della giungla. Tutti contro tutti, e chi non sparla è perduto.
 

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