Bruxelles e le agevolazioni al Vaticano

La questione, che si è cercato in due casi di archiviare, si ripresenta in tutta la sua evidenza: aiuti di Stato, violazione delle norme sulla concorrenza. Risultato: il caso richiede - termini che giungono da Bruxelles - "un'indagine approfondita". È l'infinita storia dei privilegi fiscali attribuiti dalla Repubblica italiana agli enti ecclesiastici in quei settori in cui la Chiesa primeggia come "leader nazionale": sono scuole private, alberghi e tante altre strutture per le quali è in vigore l'esenzione totale dal pagamento dell'Ici e del 50 per cento da quello dell'Ires. Il risparmio annuo vale la rilevante cifra di due miliardi di curo e dunque rappresenta un palese vantaggio nei confronti della concorrenza.
In effetti il governo Prodi, nel 2006, a seguito di pressioni Ue, aveva ristretto i privilegi solo alle attività "non esclusivamente commerciali". Restrizione brillantemente aggirata in un modo ben noto: la presenza di una piccola cappella nelle strutture ricettive ecclesiastiche avrebbe immediatamente dato all'esercizio in questione una finalità "allargata", rendendolo dunque destinatario del beneficio dell'esenzione.
Un "trucco", palesemente scandaloso e tollerato, col quale in pratica si monetizzava una non ben definita - ma utilissima - finalità "spirituale". Escamotage che però non è riuscito a fiaccare la tenacia di chi per primo aveva portato all'attenzione di Bruxelles questa storia di privilegi: il radicale Maurizio Turco, il fiscalista Carlo Pontesilli e l'avvocato Alessandro Nucara. Oggi, per la terza volta; il caso torna all'attenzione della Ue: Bruxelles ha diciotto mesi per pronunciarsi su questa serie di vantaggi fiscali. Argomento che alle nostre latitudini è visto come una sorta di tabù intorno al quale si preferisce stendere una cappa di silenzio. Ma che si traduce in realtà in una serie di privilegi (immotivati).
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